La nostra solitudine è come una stanza chiusa, senza finestre e senza porta. Murati dentro. Da soli non potremmo mai uscire da lì. Ma Cristo “la tigre”, come scrive T.S. Eliot in Gerontion, balza fuori dalla foresta, e lacera la parete chiusa.
Egli arriva e sfonda il portone del nostro personale inferno. Stende la mano, ci fa segno: «Seguimi!». E ci fa scoprire che siamo parte di un coro immenso che canta in crescendo. Con noi ci sono tutti i viventi, tutti i morti, tutti gli angeli. Si chiama «comunione dei santi». Cristo non è soltanto una candela dentro al buio della notte, è il sole nuovo che sorge. Scaccia le tenebre. Nella sua luce, vediamo che ci sono legami eterni, dolci e infrangibili che connettono l’intera storia di tutte le persone e tutte le cose in un unico disegno.
Certo, c’è il male. Ci sono le lacrime della bambina di cui Ivan Karamazov si scandalizzava, quella che piangeva rivolta al «buon Padre Dio» dal gabinetto gelido in cui era stata rinchiusa da sua madre. Eppure, man mano che le nuvole si diradano, si comincia a vedere che quella bambina è simile a Gesù. Si scopre che Dio stesso ha voluto condividere persino quella suprema ingiustizia, il male gratuito fatto all’innocente. E non solo lo ha condiviso, ma lo ha trasfigurato. Ha reso la croce la strada della salvezza. Così ha tenuto insieme il mondo intero. Nella sua umiliazione, ha fatto sì che nessuna cosa, neppure la più piccola o dolorosa, fosse inutile.
Dinnanzi al primo rifiuto, il peccato originale, Dio si è commosso. Anziché arrendersi al fallimento, ha iniziato la lunghissima storia del popolo d’Israele. Attraverso Abramo, Mosè e gli altri, ha condotto un piccolo popolo verso la terra promessa.
Molte volte si sono ribellati. Hanno dovuto passare settant’anni come schiavi in Babilonia per poter riscoprire la grande fedeltà di Dio e la bellezza di appartenere a Lui. «Ti ho amato di amore eterno» (Ger 31,3) egli ha detto per bocca di Geremia in quel tempo terribile. «Ecco, io apro i vostri sepolcri! […] Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete!» (Ez 37,12-14) ha aggiunto attraverso Ezechiele. Anche quella volta, Dio si è commosso, e il suo popolo è tornato nella sua terra, dove ha ricominciato ad attendere la salvezza.
Davanti alla morte del suo amico Lazzaro, Gesù si è commosso. Dio si è nuovamente commosso, e ha pianto. Poi è andato a morire sul Calvario per fare nuove tutte le cose, per aprire la via alla nostra città vera, dove Egli radunerà ogni popolo, asciugherà ogni lacrima e non vi sarà più la morte (Ap 21,1-4), e sentiremo con i nostri orecchi il suo canto eterno. Perché Egli canta ogni cosa, e noi siamo parte del suo canto.