La morte del presidente venezuelano Hugo Chávez dà inizio ad una stagione politica molto difficile da decifrare. Partiamo dal sostituto designato, l’ex dirigente sindacale Nicolás Maduro: la ridicola accusa rivolta ai “nemici della patria” di avere “iniettato” il cancro a Chávez è solo il primo misero tentativo di dare continuità al regime, non è tuttavia il modo più astuto per aumentare la popolarità in vista della campagna elettorale.

Le elezioni che con tutta probabilità si svolgeranno nel giro di un mese, hanno un esito tutt’altro che scontato. Lo scoglio più grande da superare per le forze di opposizione, oltre alla costante censura dei mezzi di comunicazione ostili al regime, è lo strascico emotivo dopo il lutto che si protrarrà nelle prossime settimane. L’opportunità di uscire finalmente da un regime oppressivo e antidemocratico durato 15 anni è tuttavia concreta. La responsabilità di un cambiamento verso la democrazia è ora nelle mani del popolo venezuelano, messo in ginocchio dalla spregiudicatezza della politica economica e sociale chavista. 

La crisi globale ha affievolito notevolmente gli effetti della pesantissima cura assistenzialista nei confronti dei ceti deboli. Sono invece aumentate a dismisura le difficoltà per gli imprenditori, che non hanno alcuna protezione dal punto di vista giuridico, ma al contrario vivono costantemente con il terrore che lo Stato gli sottragga con la forza tutto ciò che possiedono e che si sono guadagnati attraverso i sacrifici di una vita.

La persecuzione politica dell’avversario perpetrata da Chávez e l’asfissia economica provocata dalle continue espropriazioni devono lasciare spazio al pluralismo e alla libera iniziativa dei cittadini. Limitarsi ad una semplice critica del “chavismo” sarebbe un errore, occorre invece che la nuova classe dirigente metta in atto misure che tengano effettivamente conto delle necessità dei settori e delle classi sociali più sfavorite e una proposta chiara per la libertà. 

Anche per quanto concerne la politica estera occorre un deciso cambiamento di rotta: il progetto di fare del Venezuela una potenza regionale è miseramente fallito. La rivoluzione bolivariana non ha avuto successo fuori dai confini venezuelani, come dimostra la debolezza dell’Unione delle Nazioni Sudamericane (Unasud), l’organismo creato appositamente da Chávez per promuovere la sua ideologia in tutto il Sudamerica. Va interrotto al più presto l’asse socialista con Cuba, un’alleanza che produce soltanto bugie complottiste che affamano la popolazione. All’ideologia antimperialista ed antiamericana deve fare spazio una politica di apertura e di confronto con gli Stati Uniti, unico e vero alleato strategico sul quale il Venezuela deve fare affidamento per affrontare le sfide future dell’economia. 

La mia esperienza di parlamentare europeo ha avuto inizio nel 1999 ed è durata tanto quanto la presidenza Chávez. In tutti questi anni ho potuto toccare con mano la voglia di libertà e di democrazia del popolo venezuelano. Più volte ho incontrato studenti, politici e imprenditori venezuelani che ammirano il progetto europeo come luogo ideale di democrazia e di pace. Questi amici continuano a ringraziare le istituzioni europee per il continuo sostegno alla difficile azione di opposizione alla dittatura. Chissà che l’orizzonte di libertà che anche da lontano riusciamo a mostrare, oltre alla vicinanza morale e ideale, non possano risultare decisivi per mettere fine alla pagina più nera della storia del Venezuela, quella della Repubblica bolivariana di Hugo Chávez.