La settimana scorsa a Madrid, Pascal Lamy, Segretario dell’Organizzazione mondiale del commercio, ha dato una buona definizione di Cina: “È un Paese ricco con molta gente povera”.
Si dovrebbe aggiungere che è un Paese ricco in certe cose, ma poverissimo di libertà. Altri economisti hanno forgiato un aforisma diverso per definire il gigante asiatico in lotta con gli Stati Uniti per la leadership mondiale: “La Cina è un Paese che diventerà vecchio prima che ricco”.
È sotto gli occhi di tutti come buona parte degli intellettuali occidentali, almeno quelli che si dedicano alle tendenze internazionali e sociali, sia impegnata a cercare di definire la potenza asiatica. Il punto interessante della questione è che la Cina ha messo in luce che l’invecchiamento della popolazione non è solo un problema occidentale o europeo (gli Stati Uniti continuano ad avere un tasso migliore di fecondità grazie agli immigrati latini).
La politica del figlio unico e le restrizioni alla natalità faranno sì che la modernizzazione definitiva in ambito economico coincida con un’inversione molto pericolosa della piramide della popolazione. È esattamente il contrario di quello che succede in India, che a giudicare dall’ultimo numero di The Economist è la potenza asiatica preferita del mondo anglosassone. In Cina, inoltre, gli aborti selettivi fanno sì che il numero delle donne sia scarso.
Ma torniamo alla questione dell’invecchiamento, perché è la grande sfida che dovranno affrontare gli Stati, non solo in Europa, nei prossimi decenni. Non è un problema che si può risolvere con i vecchi schemi di socialdemocrazia/liberalismo.
Il giornalista economico Paul Wallace ha scritto più di dieci anni fa un libro dedicato al terremoto demografico. E ora è l’autore di un lavoro (Taming Leviathan: the state of the state) sul futuro dello Stato incluso nel documento Megachange, pubblicato anche da The Economist.
Si dirà che Wallace e i suoi sono dei megaliberali e che non conviene dargli retta. Non possono avere, certamente, l’ultima parola, soprattutto su alcuni temi, però in altri sembrano andare nella giusta direzione. Del resto lo fanno quando sottolineano che lo Stato deve scegliere tra i giovani e i vecchi.
In Europa, infatti, la generazione del Baby Boom ha cominciato ad andare in pensione, invertendo il rapporto tra lavoratori attivi e pensionati. È facile pronosticare imminenti e profondi cambiamenti nei sistemi pensionistici. In Spagna alcune settimane fa è entrata in vigore la seconda riforma nell’arco di pochi mesi, con l’obiettivo di ritardare l’età di pensionamento e di far convivere lavoro e pensione. Il processo coinvolgerà a breve tutto il Vecchio Continente.
Ma la sfida dell’invecchiamento per lo Stato, secondo Wallace, non è tanto nel sistema pensionistico quanto nella spesa sanitaria. La crisi ha fatto infatti schizzare il debito pubblico e il sistema sanitario è diventato insostenibile. Per questo c’è bisogno di uno Stato intelligente.
I responsabili politici devono scegliere se rimanere bloccati sulla lotta contro la spesa o scommettere su politiche di crescita.
I vecchi, in età e in mentalità (quelli che sono rimasti legati agli schemi mentali degli anni ’80), chiederanno che non venga toccato il modello di gestione della sanità. Sebbene sia certo che il futuro passa dall’impulso alla crescita.
E la crescita, almeno in Spagna, non dipende dall’investimento in infrastrutture – come succedeva negli anni ’80 e ’90 -, ma dalla scommessa sull’educazione. Pascal Lamy ha dato tre ricette a Madrid per competere con il mondo globalizzato: educazione, educazione ed educazione.
È un eccellente insegnamento che ha permesso alla piccola Corea del Sud di situarsi dove è ora e i buoni risultati educativi in alcuni campi sono quelli che stanno aiutando molto l’India. Perché lo Stato sia intelligente non vuol dire che deve rinunciare ad assistere sanitariamente gli anziani.
L’intelligenza consiste nell’includerli in sistemi di copagamento e, soprattutto, coinvolgendo la società civile per attuare una transizione da un Welfare State a una Welfare Society.
Wallace e molti altri portano come esempio il modello di gestione degli ospedali olandesi, che hanno iniziato a copiare quelli irlandesi. Sono ospedali che risparmiano denaro, che non sono nelle mani del mercato, ma di enti senza fini di lucro, e che sono finanziati per l’80% da fondi pubblici.
Un esempio di sussidiarietà molto necessario ora che il futuro esige di cambiare molte cose, soprattutto la mentalità, e dedicare le migliori energie alle nuove generazioni.