Ieri a New York l’asta di Christie’s con opere d’arte contemporanea ha battuto tutti i record storici: 495milioni e passa in una sola sera. Il giorno prima Sotheby’s era stata un po’ sotto, pur raggiungendo prezzi mai visti per singole opere. E l’opera più cara, un quadro di Barnett Newman, è stata conquistata per 43milioni di dollari da un personaggio con “inflessione italiana”, ha scritto il New York Times.
È una notizia che sarebbe spiegabile se coronasse, con questi eccessi, un momento d’oro dell’economia mondiale. Invece, come ben sappiamo le cose stanno molto diversamente. L’economia dei paesi ricchi arranca, con costi sociali sempre più alti e spesso drammatici, mentre il mondo dei nababbi prospera, come nulla fosse. I consumi alti sono gli unici che continuano a crescere; il lusso si conquista spazi commerciali nelle nostre città permettendosi offerte del tutto fuori mercato, ai limiti dell’arroganza (l’evoluzione della Galleria Vittorio Emanuele a Milano è emblematica). Proprio ieri uno studio dell’Ocse confermava con i numeri queste evidenze concrete: in Italia il gap tra ricchi e poveri si è allargato con la crisi: il 10% della popolazione con i redditi più alti oggi ha un reddito di 10,2 volte superiore a quello del 10% della popolazione con i redditi più bassi. Nel 2007 questo rapporto era di 8,7 volte. Per i primi i redditi si sono assottigliati dell’1% annuo, per i secondi invece addirittura del 5%.
Ovviamente questi numeri sarebbero ancor più clamorosi se andassimo a prendere quella fascia ristretta di popolazione dai redditi altissimi: una sorta di nuova aristocrazia globale, che vive su standard lunari, in una sorta di bolla che la tiene oltretutto al riparo da ogni possibile conflitto sociale. I ricchi infatti sono una specie di superclasse, che a livello mediatico ha conquistato l’immaginario delle persone; una superclasse che nessuno intende combattere ma di cui tutti sognano di poter un giorno fare parte.
Ma è appunto solo un sogno. Anzi una «tirannia invisibile, a volte virtuale che impone le sue leggi» come l’ha definita, con un realismo raro, ieri papa Francesco rivolgendosi a un gruppo di ambasciatori. «Mentre il reddito di una minoranza cresce in maniera esponenziale, quello della maggioranza si indebolisce», ha ammonito il papa. Che ha puntato il dito contro le cause di questo drammatico squilibrio: «l’ideologia dell’autonomia assoluta del mercato», la speculazione finanziaria, «la corruzione tentacolare e l’evasione fiscale egoista». Da questa “deriva” sociale e individuale, ha poi sottolineato il Papa, nasce il fatto che «la solidarietà, che è il tesoro dei poveri, è spesso considerata controproducente, contraria alla razionalità finanziaria ed economica».
Fenomeni di tale entità e di tale forza “omologante” possono avere anche effetti paralizzanti, che portano a subirli e ad accettarli con punte di fatalismo. Per questo, come sempre gli accade quando tocca temi così brucianti, papa Bergoglio non si limita all’analisi e alla condanna, ma si spinge con passione a mobilitare l’energia umana di tutti i suoi interlocutori, quelli che ha di fronte ma non solo. Non si può stare tranquilli rispetto a quanto sta accadendo, dice il papa. La Chiesa in particolare non può stare tranquilla. Per questo si deve chieder la grazia «di dare fastidio alle cose che sono troppo tranquille… e se diamo fastidio, benedetto sia il Signore». È un invito a mettersi in gioco, a non restare spettatori passivi, a uscire dai «salotti» (altra immagine usata da Bergoglio durante la consueta predica mattutina a San Marta).
Il Papa infatti ha il grande merito di affrontare a viso aperto quella frustrazione diffusa, che si prova di fronte ad un assetto del mondo che ci vede come impotenti. Innanzitutto configurando in termini esatti e realistici quello che stiamo “accettando”: «Non condividere i propri beni con i poveri è derubarli e togliere loro la vita», ha detto senza mezzi termini citando san Giovanni Crisostomo. E poi comunicando quella passione e quella tenerezza per l’umano che inevitabilmente ci risospinge tutti nella mischia.