La strategia sulle questioni eticamente sensibili è oggi radicalmente cambiata. Dopo il flop del referendum sulla fecondazione assistita del 2005 e le ore drammatiche che accompagnarono gli ultimi istanti di vita di Eluana Englaro nel 2009, i fautori del fronte contrario ai valori non negoziabili hanno in effetti mutato strategia: non più casi simbolo da portare all’attenzione dell’opinione pubblica, e su cui intavolare battaglie epiche, ma stillicidio di notizie, pronunciamenti e decisioni emotivamente rilevanti che possano lavorare nel profondo della coscienza italiana in modo da costruire un nuovo orizzonte “politically correct” in vista di uno scontro finale.
Così, forti della nuova tattica, si sono preparati i vari terreni di gioco: eutanasia, divorzio breve e matrimoni omosessuali. Su quest’ultimo tema si è infine concentrata l’attenzione dell’intero circuito mediatico, nella profonda convinzione che il mutare dell’opinione degli italiani su una tale decisione comporti, automaticamente, una rivoluzione mentale nella considerazione di tutti i valori non negoziabili. Così, tanto per capirci, chi si sente oggi di poter dire a cuor leggero che l’omosessualità è un peccato? Chi, invitando ad una certa pacatezza nei confronti di alcune questioni sensibili come l’adozione da parte di coppie gay, non ha paura di essere pubblicamente redarguito e accusato di ipocrisia e omofobia?
Tutto questo clima “censorio” è frutto di un ben preciso disegno: la siepe morale costruita attorno all’argomento “omosessualità” è tale che appare impossibile scalfirla senza passare per reazionari o retrivi. Questo però, invece di irrigidire ancora di più le posizioni alimentando i luoghi comuni sul dibattito in merito al tema, dovrebbe farci riflettere e provocarci a cambiare il metodo e il linguaggio con cui poniamo molte delle nostre legittime obiezioni.
Per prima cosa dobbiamo abbattere il pregiudizio anti-cattolico sull’omosessualità: la Chiesa, infatti, non ha paura di guardare con simpatia a qualunque tipo di attrattiva – tra uomo e donna, tra uomo e uomo o tra donna e donna – che si sviluppi nella storia, perché la Chiesa non va contro i fatti e certe attrattive sono fatti inequivocabili. Come si può osservare, in questo senso tutte le attrattive sono poste sullo stesso piano, senza discriminazione, perché la domanda che davvero interessa alla Chiesa è un’altra: perché quell’attrattiva, qualunque essa sia, ti è stata donata dal buon Dio?
Ogni attrattiva, anche la più inquietante, è, in effetti, un dono del Signore. Il problema è il motivo per cui il Cielo l’ha destata. La preoccupazione della Chiesa non è per quello che accade nella vita dell’uomo, ma per quello che l’uomo sceglie di fare di fronte alle cose che accadono.
In questo senso oggi va di moda prendere una serie di scorciatoie che riducono l’attrattiva fra due persone a un fatto meramente sessuale o genitale, mentre l’attrattiva − sempre e comunque − è un fenomeno più ampio, affettivo. Pretendere che una determinata relazione risolva il problema affettivo della nostra vita, quel vuoto e quella solitudine originaria che gridano al Mistero l’esigenza di una compagnia carnale e autentica, è semplicemente stupido perché l’ampiezza del nostro desiderio è sempre maggiore di ogni risposta finita e nessun legame, etero o omo che sia, colmerà mai il bisogno del mio cuore di essere amato davvero e per sempre.
Nessun uomo e nessuna donna, infatti, sono in grado di amare il tutto dell’altro o di farlo per sempre e l’amore è un sentimento precario su cui non si può costruire un’intera vita. Per questo chi si sposa per amore va poco lontano: perché è la scelta, lo scegliersi, che qualifica un rapporto, non il sentimento con cui lo si fa. In quest’orizzonte si apre lo spazio della ricerca e del lavoro personale, poiché ognuno di noi è chiamato a scoprire il motivo di ogni attrazione che sperimenta su di sé. E questo, lo capite bene, non vale soltanto per chi ha quindici o diciotto anni, ma vale anche per chi è sposato da vent’anni e capisce un giorno di essersi innamorato di un’altra persona.
Nell’epoca della dittatura dei sentimenti l’uomo sembrerebbe chiamato ad essere ostaggio delle proprie sensazioni, mentre invece una persona è matura nella misura in cui ama le emozioni che prova e le contestualizza in un perimetro reale in cui l’emozione può dare un contributo costruttivo e non distruttivo alla vita. Il vero problema, infatti, è che spesso le sensazioni e le attrattive distruggono la nostra storia, ci spingono ad espellere amici e parenti dal nostro vissuto, a chiudere con nostro marito o nostra moglie, a tenere comportamenti deresponsabilizzanti in nome di uno strano gusto di libertà che le azioni dirompenti hanno la capacità di donarci per breve periodo, prima di ricadere in una situazione di amarezza peggiore rispetto a quella iniziale. Ovviamente nessuno può giudicare, in forza di queste parole, il vissuto degli altri, ma tutti siamo chiamati a desiderare con verità che ciò che proviamo contribuisca a costruire la nostra persona e non a distruggere le scelte precedenti, spesso anche definitive, che abbiamo compiuto.
La Chiesa non propone leggi o atteggiamenti contro questo o quell’orientamento ma sfida a un lavoro serio e autentico su di sé e su ciò che l’uomo prova, al fine che il cammino di ognuno non sia colmo di rimpianti ma ricco di avvenimenti che ci edifichino come uomini. Dio dona i sentimenti per provocare delle decisioni.
E la decisione più grande è scegliere l’altro come compagno della vita. Questa decisione non avviene in solitaria, non è un fatto mentale, ma coinvolge tutto il corpo, tutta la storia del singolo che diventa il terreno del dialogo tra l’Io dell’uomo e l’attrazione che l’ha toccato.
Solo in questa prospettiva si può capire la preziosità e il valore dell’amore, sentimento che porta sempre con sé un messaggio del Mistero, sentimento che non ha bisogno di rivendicazioni sociali, ma di essere accolto e ascoltato in tutta la sua vera e intima profondità. Questo, capite bene, è tutto un altro modo di affrontare il tema dell’omosessualità. Un modo di cui tutti abbiamo davvero bisogno per guardare noi stessi e la verità del nostro Io.