C’è tensione alla fine dei corsi in università. Gli studenti devono sostenere una delle ultime prove pratiche: la simulazione di un dibattito televisivo.

Scelgono un tema caldo: la morte, provocata da due estremisti islamici, del soldato Rigby a Woolwich, Londra.

Il tema è scottante ed è appena stato diffuso il video dell’intervento della polizia. Una delle studentesse prepara accuratamente le sue argomentazioni. Dopo le presentazioni, sostiene con fermezza che capisce le ragioni degli aggressori, perché si tratta di persone che hanno visto morire i loro in Afghanistan.

Il professore pensa che i futuri giornalisti abbiano preparato un testo simulando una situazione estrema. Spiega, quindi, alla moderatrice che non può tollerare opinioni che costituiscono apologia del terrorismo. Anche perché in Spagna, fortunatamente, dopo quel che è successo con l’Eta, questo è un reato. Ma non c’era alcuna finzione.

La prova pratica finisce con la studentessa che sostiene le ragioni dei terroristi che continua a spiegare che non c’è giustizia migliore di quella che un uomo riesce a ottenere con le sue stesse mani. Gli altri studenti restano in silenzio, qualcuno chiede la pena di morte.

Il professore ricorda dapprima che la vita è un valore sacro, poi ricorre ad argomenti storici: al recente atteggiamento delle vittime dell’Eta; alla riconciliazione che ha reso possibile la Transizione in Spagna dopo la Guerra Civile; alla riconciliazione postbellica in Europa.

Una dopo l’altra, tutte le ragioni cozzano contro il soggettivismo che Macintyre in “Dopo la virtù” descrive come la parabola finale del pensiero contemporaneo: gli studenti rispondono che la sua è un’opinione come un’altra. La ragione non riconosce valori che erano evidenti, è stata spazzata via la memoria della ricostruzione del Paese e dell’Europa.

Né a me, né a miei genitori, né ai miei nonni hanno raccontato che qui c’è stata una guerra e che si dovesse perdonare”, dice un secondo alunno.

Sono altri tempi”, aggiunge un terzo. Altri tempi, senza dubbio, nei quali la ragione non ha esperienze per stabilire certezze che tutti danno per acquisite.

Il nichilismo di cui parlava Glucksmann nel suo “Dostoevskij a Manhattan” non solo uniforma i barbuti che continuano a terrorizzare il pianeta, ma è il tessuto silenzioso con i quali si vestono, senza accorgersene, molti giovani delle università “normali”.

Vittime silenti che non sanno spiegare e spiegarsi, in una situazione limite, perché la vita è più grande dell’odio.

I giovani alunni di giornalismo decidono di prendersi una pausa e vanno a vedere Il Grande Gatsby di Luhrmann.

Il regista australiano è tornato a usare il linguaggio con cui ha avuto successo in Moulin Rouge più di dieci anni fa: movimenti di camera spudorati, montaggio molto rapido e musica protagonista. Linguaggio da videdoclip, ritmo trepidante, ambiente surreale, per descrivere un tempo sregolato.

Luhrmann ha saputo plasmare, a modo suo, il cuore del racconto di Scott Fitzgerald. Di Caprio è bravissimo e la candida attrattiva di Carey Mulligan incarna alla perfezione la donna desiderata molto di più della donna desiderata.

I futuri giornalisti percepiscono che, in qualche modo, gli anni ‘20 – il periodo tra le due guerre – li rappresentano. Non solo nei loro eccessi e negli abusi, ma, soprattutto, perché come Gatsby si svegliano cercando la luce verde che c’è dall’altra parte dell’acqua, il ricordo onnipresente di un amore quasi raggiunto che avrebbe potuto essere per tutta la vita e che hanno già perso.

Si riconoscono nell’uomo poderoso che racchiude, nelle sue follie, l’entusiasmo di un bambino. Quella luce verde è l’unico punto di incontro per ricostruire una ragione rasa al suolo.

I discorsi e i valori non servono più. Ci vogliono adulti per i quali l’esperienza della vita sia ancora un bene e che siano disposti ad andare incontro al raggio che continua a brillare.

Maestri che siano capaci di mostrare alle nuove generazioni, nella vita concreta, che il raggio verde non è condannato a perdersi nelle nebbie di Long Island. Solo un amore presente ricostruisce una ragione persa.