Ha ragione Giorgio Napolitano. “Dobbiamo essere all’altezza dell’articolo 1 della nostra Costituzione”, ha detto in un’intervista al direttore del Tg5 Clemente Mimun, facendo notare che i padri costituenti misero il lavoro (e non i lavoratori) come principio fondante, valore supremo della nostra convivenza civile. E ricordando come l’emergenza lavoro sia la più grande delle emergenze globali in cui ci dibattiamo. Non solo in Italia. L’Economist, ha proseguito il Capo dello Stato, parla in copertina della generazione perduta, milioni di giovani senza lavoro, né studio.
Che cosa stiamo facendo per loro? Il Grande Enigma del secolo sta diventando questo. Le parole di Napolitano sono un esplicito invito al Governo Letta e al Parlamento perché dia attuazione a questo principio cardine della nostra Carta. Fa bene a farlo soprattutto in un momento in cui la Costituzione italiana viene presa a pretesto da chi ne vorrebbe una sua interpretazione radicale, che ne stravolge lo spirito. Ma certo il suo monito non può essere letto solo in chiave nazionale.
Che cosa sta facendo l’Europa per i giovani disoccupati? Questa è la domanda chiave se guardiamo alle strategie politico-economiche dei prossimi mesi ed anni. La tragedia della mancanza di lavoro è talmente grave che richiederebbe un grande sussulto intellettuale e morale da parte della Ue. Una svolta storica, qualcosa di simile a ciò che è stato per la cultura e per le università il piano Erasmus. Immaginate la potenza anche estetica che una decisione di Bruxelles, innovativa e tuttavia compatibile con la situazione finanziaria, potrebbe creare in questo campo! Un Erasmus per il lavoro che possa mettere finalmente a frutto la capacità economica e finanziaria di un Continente incapace di integrarsi virtuosamente dal punto di vista politico. Un grande disegno strategico europeo, un atto di coraggio.
Del resto negli Stati Uniti d’America, grande patria della democrazia, è accaduto proprio qualcosa di simile. Il Governatore della Federal Reserve, Ben Bernanke, nel bel mezzo della peggiore crisi finanziaria occidentale dopo quella del 1929, ha preso una decisione storica, inedita per la più grande autorità monetaria del pianeta: legare i destini del dollaro, e persino la stampa della moneta, supremo atto creativo economico, al tasso di disoccupazione.
Bernanke ha promesso di continuare a stampare moneta e a immettere potenti iniezioni di liquidità (il cosiddetto quantitative easing) nel mercato fino a a che la disoccupazione americana non scenda sotto il 6,5 per cento.
Vi rendete conto di che razza di rivoluzione si tratta? L’autorità monetaria della Banca centrale più importante del mondo decide di mettere come criterio fondante della propria politica l’occupazione. Non è solo una grande lezione agli gnomi di Wall Street e a chi fa della speculazione finanziaria qualcosa di completamente autonomo e lontano dall’economia reale. Ma riscatta il ruolo stesso delle grandi istituzioni economiche e finanziarie. Le fa tornare in pace con la democrazia.
E soprattutto ha ridato all’America la ripresa e la ripresa dell’occupazione.
Mette i brividi pensare che cosa potrebbe accadere all’Europa se un Mario Draghi (cui fossero finalmente concessi i poteri che Bernanke ha e che per la verità la Germania della Merkel insiste a negargli) potesse legare la politica monetaria e la stampa dell’euro al tasso di disoccupazione nel nostro continente. Sarebbe davvero una grande rivoluzione copernicana. Le istituzioni comunitarie, persino le burocrazie di Bruxelles, diventerebbero di colpo credibili ed efficaci. E la lettera della nostra Costituzione potrebbe essere riscattata. Quel principio fondante dell’articolo 1 non diventerebbe più retorico e vuoto, ma materia della politica e delle politiche.
Un grande sogno europeo per l’occupazione, questo dobbiamo tornare a concepire. I tedeschi devono lasciare a Draghi e a Letta la possibilità di fare questa rivoluzione copernicana.
Altro che Grillo.