Pranzo di lavoro a palazzo Chigi: la settimana scorsa il Premier italiano ha invitato a Roma i ministri dell’Economia e del Lavoro di Francia, Germania, Italia e Spagna, per parlare del Consiglio europeo di fine mese.
Si sono accordati sulla richiesta di mettere in moto, quanto prima, il piano per il lavoro da 6 miliardi di euro per contrastare la disoccupazione giovanile.
Letta ha lanciato un SOS: o si cambia qualcosa o le elezioni europee del prossimo anno saranno segnate da un trionfo dell’antipolitica, una rivoluzione contro un’Europa che non è capace di dare soluzioni ai problemi dei suoi cittadini.
I paesi del Sud, Spagna e Italia, si sono seduti al tavolo di palazzo Chigi forti di patti di politica interna con i quali si presenteranno al Consiglio europeo.
Nel caso di Rajoy si tratta del suo primo accordo con i socialisti da quando ha vinto le elezioni.
Nel caso di Letta del patto del Governo che ha salvato il Paese dall’abisso nel quale è precipitato il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo. Si parla molto del rischio che Letta perda l’appoggio degli italiani, della necessità di un’azione rapida per portare a termine una profonda riforma costituzionale. Si parla anche dei pericoli di divisione interna sia nel Pdl che nel Pd.
La cosa certa è che l’accordo di quasi due mesi fa è stato una soluzione di successo quando il disastro sembrava ormai inevitabile. La stabilità della Prima Repubblica italiana si basava su un’instabilità nella quale era possibile che tutti facessero accordi con tutti. Tutto ciò sparì negli anni ‘90.
E la generazione di italiani che ha 20 anni non ha conosciuto il gioco del compromesso. Nemmeno la generazione di giovani spagnoli nati all’inizio o a metà degli anni ’90 ha conosciuto il patto tra i due grandi partiti politici, il Pp e il Psoe. E per questo sono più scettici.
La sinistra socialista spagnola, prima di fronte alla possibile vittoria di Aznar e poi quando il suo trionfo era certo, decise di rompere il consenso intorno alle grandi questioni di Stato. Si ruppe il grande accordo che rese possibile la Transizione dalla dittatura alla democrazia.
Il dialogo tra i socialdemocratici, i conservatori, il liberali e i democristiani, che forgiò l’Europa del dopoguerra, venne meno qualche anno dopo la caduta del Muro di Berlino.
Questa mancanza di confronto ha fatto sì che la destra, almeno quella spagnola, si sia lasciata trascinare nei momenti peggiori dalla nefasta influenza dei neocon statunitensi. E che la sinistra abbia abbracciato un repubblicanesimo radicale.
La polarizzazione arrivò all’estremo nel 2003, prima e dopo la vittoria di Zapatero.
Per questo è molto importante che il Pp e il Psoe, il Governo e l’opposizione, abbiano siglato un patto su tre questioni fondamentali: politiche attive per il lavoro, Unione bancaria e credito per le Pmi.
I partiti minoritari e i nazionalisti non hanno aderito a questo accordo, ma non importa: si tratta di mettere in chiaro che la destra e la sinistra di governo condividono le soluzioni essenziali da chiedere all’Europa.
Tutto questo sembra poco, perché la Spagna in questo momento è un Paese che non affronta seriamente il passaggio dallo Stato alla Welfare society, che non arriva a far proprio un nuovo modello produttivo, che ha un Governo stabile ma spesso autistico e senza un progetto di fondo.
A questo si aggiunge una sinistra ideologicamente perduta. In realtà, questo accordo è importante. Perché è un modo di fare pedagogia, di mostrare che la politica, la buona politica, consiste nel sommare risorse per affrontare le necessità più urgenti.
L’euro si è salvato lo scorso settembre quando la Bce ha deciso di avviare il programma di acquisto massiccio dei titoli di debito.
Questo ha fatto sì che i paesi del sud, e con loro la moneta unica, non patissero un grave collasso.
Questo programma è ora sotto giudizio della Corte costituzionale tedesca.
In questa situazione non sarà facile che trionfi la soluzione sostenuta dai paesi del Sud: una Bce capace di dar credito alle Pmi. Ma forse si troveranno altre soluzioni.
Il denaro, per esempio, può arrivare dalla Banca europea degli investimenti.
La cosa importante è che l’Europa del dopoguerra, quella che ha unito conservatori, liberali e socialdemocratici, possa tornare ancora.
La sfida non è meno impegnativa di quella di 60 anni fa.