Il giorno più lungo dell’anno, il primo dell’estate, è stato scelto dal Governo Rajoy per presentare una delle sue riforme principali: quella dell’amministrazione.

Dopo il risanamento del sistema finanziario e alcuni cambiamenti nella legislazione del lavoro, è arrivata la riduzione e la razionalizzazione dello Stato. È questa la gran riforma del modello di Stato di cui la Spagna ha bisogno da decenni? Si tratta di un buon cambiamento, ma insufficiente: lo dicono tutti gli esperti.

Come su altre questioni, il centrodestra lascia in sospeso la grande trasformazione necessaria. In questo caso, forse, è giustificato dal fatto che sarebbe impossibile metterla in atto senza l’appoggio dei socialisti, che però non ne vogliono sapere. La sinistra e la destra spagnola condividono una lunga tradizione statalista.

È una tradizione condivisa, paradossalmente, da molti leader cattolici che guidano enti di carità. La modernizzazione del Paese, che ci fu a partire dal 1876, durante la Restaurazione, pilotata dal conservatore Canovas del Castillo, fu compiuta dallo Stato.

Quello Stato, durante il franchismo, fu il protagonista quasi assoluto per quattro decadi.

E la storia ha il suo peso. La transizione alla democrazia, esemplare per tanti aspetti, non trattò il modello territoriale, per la mancanza di un accordo con i nazionalisti.

L’amministrazione regionale delle Comunità autonome è stata un’invenzione senza precedenti nel Diritto pubblico comparato. Aveva gli svantaggi dello Stato federale senza trarne i vantaggi.

Dopo più di 35 anni si può dire che il trasferimento di competenze è stato disordinato.

La materia è stata mal regolata perché gli Statuti dell’Autonomia, l’equivalente delle Costituzioni degli Stati federali, hanno sviluppato 17 Stati regionali che arrivano a consacrare nuovi e differenti diritti rispetto a quelli riconosciuti dallo Stato centrale.

La crisi ha messo in evidenza fino a che punto le Comunità autonome hanno sviluppato un’esuberanza amministrativa che ha poco a che vedere con il benessere dei cittadini.

La sussidiarietà verticale (il livello amministrativo più vicino deve essere quello che presta il servizio) ha bisogno di ordine.

Sul piano teorico si è aperto il dibattito. Quando l’economia tornerà a crescere, le entrate pubbliche saranno inferiori di 40 miliardi (0,4% del Pil) rispetto al 2007, cioè prima della crisi.

Quindi, o verrà fatta realmente chiarezza sulle competenze che spettano ai vari livelli dell’amministrazione oppure i servizi fondamentali (sanità, educazione, prestazioni sociali) saranno seriamente compromessi.

Sul piano intellettuale la destra è molto critica riguardo la sussidiarietà verticale. E la nuova sinistra (Upyd) si fa largo proprio perché è più critica del Pp su questo tema. Può permetterselo dato che non governa in nessuna Comunità autonoma.

I socialisti, in altri tempi giacobini e centralisti, sono in larga misura fuori dai giochi visto che hanno accettato lo status quo territoriale: le loro alleanze con i nazionalisti li tengono ancorati al passato.

Il dibattito su cui la Spagna statalista è più in ritardo è quello relativo alla sussidiarietà orizzontale (la società deve essere la protagonista anche del pubblico).

La riforma dell’istruzione ha messo in evidenza fino a che punto la sinistra rifiuta qualsiasi tipo di gestione dei servizi pubblici che non sia realizzata dallo Stato. Ma il nuovo progetto di legge sull’istruzione, il primo in 30 anni a non essere di sinistra, mostra come anche la destra fatichi a comprendere il valore della sussidiarietà orizzontale.

Mariano Rajoy non darà più agevolazioni alle scuole di iniziativa sociale.

I governi del Pp si comportano come se tra lo Stato e il mercato non ci fosse niente. Infatti, il Governo dei popolari della Comunità di Madrid, quando si è trovato senza fondi per gestire la sanità, ha fatto ricorso alla privatizzazione della gestione degli ospedali.

Tra lo Stato e il mercato c’è un mondo enorme: quello dell’iniziativa sociale.

Aprire il dibattito della sussidiarietà orizzontale vuol dire segnalare una terza via. Non si tratta di avere più Stato e meno società, né di avere meno Stato e più società. Ma di contare sullo Stato per la società.

La gestione dei servizi pubblici può essere svolta da enti sociali senza fini di lucro.

È quello che succede, spesso, nei paesi anglosassoni; è il modello di successo che utilizza la sanità olandese. Stiamo parlando della transizione dal welfare state alla welfare society.

Chissà, forse in futuro il giorno più lungo dell’anno servirà per iniziare il dibattito su questa transizione che la Spagna deve compiere.