L’interessante servizio su Repubblica.it dal titolo “Caro, ti lascio per pagare meno tasse. Le separazioni finte al tempo della crisi”, ha messo in luce uno dei tanti paradossi della legislazione familiare in Italia, svelando una “perversione” dei meccanismi fiscali già ben nota, ma oggi probabilmente in forte aumento, vale a dire l’incentivo fiscale alla rottura del legame matrimoniale, la sua convenienza economica. Di fatto, come ben illustra l’articolo, la separazione dal punto di vista fiscale è premiante: puoi scaricare i costi per il mantenimento dei figli, e il confronto tra quanto puoi detrarre per familiari a carico è assolutamente a favore della condizione di separazione. Insomma, per il fisco italiano conviene essere separati: i costi per la cura dei figli sono ben poco incisivi se la coppia è sposata, ma in caso di separazione sono invece un vantaggio secco di minori tasse (oppure di assegno sociale, o di utilizzo della seconda casa come residenza, ecc.).
La situazione è davvero paradossale, e rischia di innescare una guerra tra poveri: infatti la ratio delle norme fiscali sulle separazioni, in positivo, è il sostegno ad oggettive situazioni di difficoltà e fragilità familiare, ed è quindi ragionevole che in caso di separazione il sistema pubblico costruisca meccanismi di protezione. Peccato che siano totalmente assenti analoghi sostegni alle famiglie che restano unite, che vengono non solo ignorate dal fisco e dai servizi, ma addirittura mal-trattate: non vengono riconosciuti i reali carichi familiari e i costi per la cura dei figli, né viene sostenuta la stabilità dei progetti di coppia. Non sono sbagliati i sostegni alle famiglie separate: è scandaloso che non ci siano politiche familiari degne di questo nome! In più, la disonestà delle separazioni fittizie innesca ulteriori ingiustizie ed iniquità, che danneggiano anche la credibilità delle risposte a chi si trova davvero in situazione di bisogno. Si tratta di evasione fiscale bella e buona, alla pari di chi porta i soldi in Svizzera o di chi non emette lo scontrino fiscale. Per cui pretendiamo le ispezioni della Guardia di Finanza, in effetti!
E’ peraltro vero che la separazione è fattore di impoverimento micidiale, sia per il coniuge che rimane solo, sia per quello cui rimane la cura dei figli (in genere la madre). Questo forse dovrebbe suggerire maggior sostegno alla tenuta delle relazioni di coppia, anziché concentrare tutta l’attenzione dei servizi e della politica sul facilitare le separazioni (vedi le ricorrenti proposte di divorzio breve). Ma è parimenti scandaloso, nel nostro Paese, che la nascita del terzo figlio sia un altrettanto micidiale fattore di impoverimento, data la totale indifferenza del fisco ai carichi familiari. E anche il nuovo ISEE, pur migliorativo, rimane a nostro parere ancora insoddisfacente, proprio perché troppo “avaro” e penalizzante nei confronti delle famiglie numerose, che vengono così scavalcate nelle graduatorie, penalizzate nella quota di contribuzione al costo dei servizi, e così via.
Del resto non era necessario aspettare l’articolo di Repubblica per rendersi conto di questa situazione: già nel 2002, nell’ancora attualissimo film Casomai (regia di Alessandro D’Alatri, con Stefania Rocca e Fabio Volo), rimane memorabile il dialogo tra Fabio Volo e il suo commercialista, che vale la pena di riportare ampiamente: davanti alla cifra da pagare in sede di dichiarazione dei redditi, il protagonista si sente dire dal commercialista (dialogo certamente molto frequente): “Purtroppo non puoi scaricare niente….” “Si va bene, però mica posso fare i debiti per pagare le tasse…” “A me le porcherie non piace farle..” “Si, però, Mario fai qualcosa…”. “Senti un po’: tu sei sposato?” Si, regolarmente”. Sembra aprirsi uno spiraglio: anche quel “regolarmente” sembra essere un appoggio certo, su cui basarsi per non “fare porcherie”, ed essere sostenuto. Ma il commercialista, implacabile: “Perché non divorzi?” “Come perché non divorzi?” Risposta (di oggi, verrebbe da dire): “Ma si, per finta. Fissiamo degli alimenti consensualmente alti, e così li detrai integralmente dal reddito..”.
Volo reagisce, perché non capisce: “Ma io gli alimenti li passo anche adesso. Non vedi…”. Risposta, drammaticamente ironica: “Ma così non vale. Per la legge devi essere divorziato”. “E’ pazzesco, dai…” Guarda che qui nello studio parecchi clienti lo hanno già fatto… Posso farti una confidenza? L’ho fatto anch’io”. Questa non è una di quelle “porcherie” che un commercialista onesto dovrebbe rifiutarsi anche solo di ipotizzare?
L’articolo sarebbe finito qui, rimandando forse ad una richiesta di controlli contro l’evasione fiscale dei troppi “furbi”, anche in ambito di diritto di famiglia. Ma il racconto del film Casomai non si ferma, e mi dispiace non ricordare anche il volto di Stefania Rocca quando porta il bambino al nido, per sapere se è stato ammesso. Stesso ritornello: “Guardi, mi dispiace, ma il bambino non è stato ammesso. Non ha il punteggio” “Ma non si può fare qualcosa? La prego…”. “Lei è sposata?” Il bel volto di Stefania Rocca si illumina: “Sì. Regolarmente”. Ancora questa parola! E un nuovo gelo: “Peccato!” “Come, scusi…” ”Perché se il bambino fosse figlio di separati avrebbe il punteggio pieno”. “Non ci posso credere”. “Eh, sì.” “Uno per lasciare il figlio al nido deve lasciare il marito. E per iscriverlo all’università cosa fa? Un omicidio?”.
Tutto il racconto fa molto male, soprattutto a chi resiste quotidianamente nella famiglia, con i propri figli, senza scorciatoie, orgoglioso di rispettare onestamente le regole, anche sapendo che ti penalizzano. Ma il dolore più grande è vedere sparire la speranza sul viso della madre, con il bambino in braccio, che si illumina davvero, quando dice: “sì, sono sposata, regolarmente”, perché vede in questo finalmente la protezione dello Stato per il proprio impegno, e scopre invece che essere sposati regolarmente è una penalizzazione secca: ai maggiori doveri del matrimonio corrispondono oggettivamente minori diritti: è questa giustizia?