La devozione al Sacro Cuore di Gesù è un’esperienza liberante. Noi cristiani rischiamo di ridurci a misurare, in modo moralistico, i gesti e gli atti, che pure sorgono da una vita immersa nell’amore divino, senza abbeverarci a quella iniziativa misericordiosa che sta all’origine di tali gesti. Rischiamo di vedere solo il fardello delle nostre preoccupazioni o responsabilità, invece di guardare al cuore di Colui che è «venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10, 10).
Un parroco in Cisgiordania un giorno si lamentò con me di quanto fosse frustrato nella predicazione. Doveva dedicare tante energie a sviluppare per il suo gregge temi quali la giustizia, la solidarietà e il perdono e non trovava più il tempo per parlare di Cristo. Gli ho fatto notare come fosse troppo preoccupato a guardare il frutto dell’esperienza cristiana. Se un contadino presta tutta la sua attenzione al frutto dell’albero e non cura più il tronco e le radici, non vedrà più molto frutto. E ne sarà scoraggiato. Se, però, cura le radici, allora il frutto viene da sé. Spetta a noi curare le radici della vita cristiana, cioè la fede, che nasce da un incontro con il Salvatore. È saltato sulla sedia, dicendo: «Sì, sì è così!». Era così grato, come liberato… Ecco la liberazione del Sacro Cuore di Gesù.
Qual è, dunque, il nostro compito? Alla fine di un incontro che ho tenuto sul tema della famiglia, mi è stato chiesto: «Se i nostri figli non ci seguono nella vita cristiana, vuol dire che abbiamo fallito?». Mi è tornata subito alla mente la grande tristezza che avevo ravvisato spesso nei volti di genitori non più giovani, i quali mi raccontavano di come molti dei loro figli, se non tutti, si erano allontanati dalla fede e dalla vita della Chiesa. Ho risposto d’impulso che, per come noi lo avvertiamo, è un fallimento. Ma mi sono pentito quasi subito di quella risposta. Noi tutti abbiamo tanta voglia di vedere nei nostri figli i frutti dell’educazione cristiana, come per esempio un giusto senso del valore dell’altro o un indirizzo sano della loro sessualità.
Nulla di tutto questo, però, è lo scopo dell’educazione cristiana. Lo scopo dell’educazione dei nostri ragazzi è solo uno. Che possano, prima o poi, cadere in ginocchio e gridare: «Salvami, Gesù!». Forse, per loro, quell’allontanamento è proprio la strada che li porterà a questo gesto davanti al Sacro Cuore di Gesù. Non dobbiamo temere, ma pregare. Sì. È solo questo che conta. L’incontro con chi ha detto: «Non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo» (Gv 12, 47) e «Neanche io ti condanno» (Gv 8, 11). Ecco l’unica liberazione dell’uomo, dell’uomo peccatore. Non preoccupiamoci troppo di vedere il frutto nei figli, ma occupiamoci solo di tracciare la strada alla scoperta di questo Cuore che «vuole» la nostra salvezza (cfr. 1Tm 2, 4).