Questa settimana, chi volesse essere aggiornato su “cosa sta succedendo in giro” negli Stati Uniti avrebbe a che fare con la caduta di due aeroplani, il deragliamento di un treno rimasto senza macchinista con un carico di esplosivi, un drammatico processo in cui la vittima di una sparatoria potrebbe essere l’uomo che per primo ha cercato di uccidere chi poi lo ha ucciso, una spia incapace di “venire dal freddo”, il futuro di milioni di clandestini nel Paese, la legislazione dei matrimoni gay a livello dei vari stati, etc. In questa congerie di fatti  mi è risultato difficile scegliere l’argomento per questo articolo, per cui ho preso spunto da un articolo apparso domenica scorsa sul New York Times, che aveva a tema la morale della meditazione. L’autore dell’articolo è David Steno, professore di Psichiatria all’Università di Virginia.

Sembra che sempre più manager e persone con un tipo simile di lavoro e di vita sociale, prendano lezioni di meditazione (note come “programmi di addestramento alla consapevolezza”) allo scopo di estendere l’orizzonte della attenzione e aumentare la produttività del lavoro e la salute personale.

L’autore ci ricorda che non era questo l’obiettivo che Buddha aveva in mente quando aveva sviluppato il suo tipo di meditazione. Il suo scopo dichiarato era l’insegnamento sulla sofferenza e il fine della sofferenza.

Gli scienziati stanno iniziando a ideare esperimenti per verificare le promesse dei vari programmi di meditazione. Il nostro autore ha scelto di partecipare e di riferire sul programma diretto ad aumentare la nostra attenzione e disponibilità all’aiuto verso i bisognosi, che siano o meno conosciuti personalmente.

I risultati dell’esperimento sono sorprendenti. Il programma di otto settimane di meditazione sembra funzionare. Tra quelli che non hanno partecipato al corso, solo il 16% si sono adoperati per aiutare persone chiaramente in difficoltà. Tra quelli che vi hanno preso parte, circa il 50% ha risposto al bisogno di altri. Ulteriori test e un libro porteranno avanti queste verifiche.

L’idea è di dimostrare che “tutti gli esseri sono interconnessi.”

Questa affermazione mi trova d’accordo, ma credo che occorra essere molto attenti alla natura di queste relazioni. Fedeli alla strada di Buddha, gli autori suggeriscono che l’eliminazione della sofferenza avviene quando dalla nostra vita vengono rimossi certi ostacoli, come l’attaccamento al “sé”, al “noi” e al “loro”. Ma se riesco a sollevarmi al di là di questi limiti, con chi sarò compassionevole? Questo insieme di interconnessioni può trasformarsi in un ammasso indistinto, al di fuori del tempo e dello spazio.

Fidel Castro (non sto scherzando) una volta mi chiese perché la Chiesa avesse più conversioni in Africa che in Asia e rimase sorpreso quando gli dissi che nella religiosità orientale Dio viene trovato a spese della nostra adesione alle realtà materiali, mentre in Africa Dio viene trovato nella realtà del mondo: l’Alleanza con Israele e l’Incarnazione. In questo modo la sofferenza diventa amore.

E ora torno a seguire le notizie della settimana.