L’Egitto è ancora in fiamme e l’Occidente continua a usare schemi ideologici che riducono la complessità del Paese più importante del mondo arabo. Non c’è una via d’uscita semplice alla situazione, perché né i Fratelli musulmani, né i giovani di piazza Tahrir sono disposti a cedere. Da quando Morsi è stato costretto a lasciare il potere, giornalisti, analisti e politici dall’altro lato del Mediterraneo e dell’Atlantico ripetono due interpretazioni apparentemente diverse, anche se presentano punti molti simili. Entrambe si basano su schemi obsoleti rispetto a quel che sta accadendo.
La prima interpretazione considera negativa l’uscita dei Fratelli musulmani, vista come una conseguenza di un colpo di Stato. L’utilizzo di questo termine esprime un giudizio sulla situazione come se l’Egitto fosse un Paese occidentale, con un sistema democratico e legale pienamente funzionante. Quasi che l’ascesa di Morsi al potere fosse stata conseguenza di un processo simile all’elezione del Presidente della Repubblica francese o degli Stati Uniti. La conclusione di questa interpretazione è che se sta accadendo tutto questo è perché, in fondo, i paesi a maggioranza musulmana sono condannati a non essere democratici. I cambiamenti arrivano grazie alle rivolte popolari. Saremmo quindi tornati all’epoca di Mubarak.
Le cose sono però più complesse. Dalla destituzione del Rais, l’Egitto vive un processo molto fluido che in qualche modo somiglia ai cambiamenti rivoluzionari e costituenti vissuti dall’Europa e dall’America dalla fine del XVIII secolo, sebbene in un contesto culturale molto diverso. La caduta di Mubarak è stata determinata dai giovani e dalla classe media istruita: i Fratelli musulmani non erano in piazza. Dall’anno scorso hanno cominciato a governare contro la maggioranza della società e dei loro stessi elettori. I Fratelli musulmani sono una grande minoranza, ma pur sempre una minoranza. La Costituzione che hanno redatto ha come riferimento la sharia, cosa che è contro il sentimento comune degli egiziani. Il sostegno arrivato dall’Università di al-Azhar, massima ispiratrice dell’Islam religioso egiziano, e dal Patriarcato cristiano al cambiamento che si è appena verificato mostra fino a che punto i Fratelli musulmani erano delegittimati. Morsi voleva appropriarsi di un processo costituente per realizzare il proprio progetto particolare. Non possiamo giudicare la sua destituzione secondo i canoni giuridici e politici occidentali.
La seconda interpretazione vede con favore la caduta di Morsi e anch’essa si basa sull’idea che la democrazia sia impossibile nel mondo arabo. Vede di buon occhio il fatto che l’esercito abbia preso il potere perché lo considera l’unica forza realmente laica che può mettere un freno all’islamizzazione. C’è l’idea che finché la rivoluzione egiziana non sarà come quella francese, cioè non compirà una secolarizzazione aggressiva dall’alto della società, non ci sarà un cambiamento reale. Tuttavia, se per caso l’esercito provasse a mettere in pratica questa teoria, che esiste solamente nei dispacci degli analisti occidentali, la guerra civile sarebbe garantita.
Se bisogna cercare un qualche paragone tra la rivoluzione egiziana e una delle nostre occidentali, si nota solo qualche somiglianza con quella americana. Cioè, è religiosa, ma chiaramente avviene in una Paese a maggioranza musulmana e non cristiana. È un dato di fatto evidente che non si può tralasciare. Non c’è democrazia possibile nel mondo arabo se il fattore religioso non viene raccolto come elemento decisivo politicamente e istituzionalmente. La maggioranza degli egiziani rifiuta l’Islam politico, non vuole che la sharia sia l’unica fonte del diritto, ma questo non significa che preghi la dea della ragione.
Il processo è ancora aperto e può essere molto doloroso. Non si stanno rispettando certe regole nel magma del cambiamento e si rifiuta la secolarizzazione: questo però non significa che il mondo arabo non può avere la democrazia. Vuol dire solo che ci metterà più tempo e che, naturalmente, sarà diversa.
Purtroppo agli Stati Uniti, arbitro della regione, va bene sempre lo status quo più superficiale: sia quando c’era ancora Mubarak che quando hanno governato i Fratelli musulmani non si sono accorti che la corrente della storia stava andando in un’altra direzione.