La grande sfida per le imprese, oggi, è approdare a una crescita che crei occupazione. Ma questo si può ottenere solo attraverso un cambiamento vero. Di pari passo con le riforme che la politica deve urgentemente attuare per migliorare le condizioni generali del sistema – le ha ricordate ieri nel suo discorso inaugurale al Meeting il Premier Enrico Letta -, le imprese stesse sono chiamate a crescere: in competenza gestionale, in conoscenza dei mercati, in capacità innovativa. Lo stesso problema dimensionale che blocca le aziende italiane nella competizione sui mercati internazionali può diventare un’occasione di sviluppo.



La dimensione non deve, infatti, riguardare necessariamente la singola impresa. Ci sono esperienze positive in atto che attestano l’efficacia delle aggregazioni e delle reti. Quando le aziende collaborano in modo strutturato il fatturato cresce di più rispetto a chi “fa tutto da sé”: gli oltre ottocento contratti di rete stipulati a oggi in Italia, con circa quattromila aziende coinvolte, sono lì a dimostrarlo. Gocce nel mare? Qualcosa di più: indicatori che mostrano la ragionevolezza di aver fiducia nell’imprenditorialità e quindi nel correre un certo rischio imprenditoriale: i mercati ci sono, bisogna saperli intercettare.



Quello domestico è fermo, questo è drammaticamente vero, ma non può essere un motivo sufficiente per fermarsi. Tutti i dati dicono che chi intercetta i mercati internazionali riesce a dare una svolta alla propria attività. La cosa peggiore che oggi possa succedere è che l’imprenditore perda la fiducia.

Qui rientra in gioco la grande responsabilità della politica. Lo si capisce con un esempio nel campo dell’innovazione: in moltissime aziende si evidenzia con chiarezza che l’inserimento dei giovani è un valore in sé perché aiuta a compiere salti innovativi sostanziali. Dunque chi si avvale dell’apporto di giovani ha un conseguente vantaggio imprenditoriale. Questo è un fatto. A partire da ciò, sarebbe importante attuare una semplificazione dell’apprendistato che trasformi realmente questo strumento nella via maestra per aprire ai giovani le porte del mondo del lavoro, come avviene già in altri paesi. Occorre uno snellimento burocratico e contributivo e che la formazione sia erogata da soggetti terzi accreditati: l’apprendistato “duale” è uno dei fattori chiave della competitività di una nazione.



Questo è uno degli esempi che rendono evidente come la crescita dipenda da un impegno forte degli imprenditori e delle associazioni che li sostengono – sono gli imprenditori a dover scegliere di valorizzare i giovani -, ma ciò attribuisce loro forza e autorevolezza nel richiamare la politica alle sue responsabilità di impostazione strategica, normativa e di supporto economico.

Su questo preciso fronte è ormai ineludibile una riforma per ridurre la pressione fiscale, non solo attraverso la detassazione degli utili investiti in azienda, per liberare risorse per l’imprenditorialità diffusa, che è un bene prezioso da tutelare e promuovere. Ma non è tutto. In questo momento di crisi, l’Italia ha raggiunto il risultato straordinario di rientrare nei parametri del 3% nel rapporto tra deficit e Pil. È uno sforzo che va premiato attuando la golden rule che escluda dal calcolo di questo rapporto gli investimenti in infrastrutture strategiche: aumentare la spesa corrente sarebbe letale, ma investire sulle voci che rappresentano un driver per tutti è doveroso.

Questi provvedimenti metterebbero ancor di più in condizione gli imprenditori italiani di riprendere la loro grande tradizione di portare nel mondo le loro esperienze, conoscenze, i loro prodotti, con la certezza che il mondo è disposto ad accoglierli: è l’inestimabile valore del made in Italy. Non solo di larghe intese gli imprenditori hanno bisogno, ma anche di “ampie vedute” e lungimiranza, per riscoprire che è il momento di mobilitare una fiducia imprenditoriale. Oggi, nonostante tutto, avere fiducia è ragionevole.