Morire di rendita

Pompei non ha pace. Gli scandali e la malagestione tengono banco anche da un punto di vista mediatico: ma come è possibile crescere e cambiare se si vive di rendita? Ne parla GIUSEPPE FRANGI

Pompei avrebbe urgentemente bisogno di un armistizio mediatico. Ormai da tre anni, cioè dal crollo del muro nella cosiddetta Casa dei Gladiatori, sembra che il sito archeologico forse più famoso del mondo sia diventato obiettivo “sensibile” dei media a livello globale. Se c’è uno sciopero che blocca per due ore le visite, la notizia fa il giro del mondo. Se invece si rende noto che nonostante l’anno di crisi nei primi sei mesi del 2013 Pompei ha aumentato del 15% i visitatori, nessuno riprende la notizia.
Ieri ci si è messo anche Beppe Grillo che dal suo blog ha rilanciato il presunto ultimatum degli ispettori Unesco, che potrebbero depennare Pompei dalla lista dei siti “patrimonio dell’umanità”. L’avvertimento Unesco in realtà non è in questi termini, ma è un invito a mettere a punto un Piano di Gestione che permetta di spendere entro il 2015 le risorse del Grande progetto cofinanziato da Bruxelles.
Che le cose a Pompei non funzionino, è ben risaputo. E lo sa perfettamente anche il ministro Bray che ha messo la questione in cima alla lista delle sue priorità. Bray sa che su Pompei si gioca una buona fetta dell’immagine dell’Italia come paese leader del turismo culturale e perciò cura con particolare attenzione la diffusione di notizie in controtendenza, dall’avvio di nuovi cantieri che permetteranno la riapertura di domus oggi non visitabili, sino al piano di videosorveglianza che entro il 2015 dovrebbe tenere sotto controllo permanente il 50% dell’area.
Per questo, pur facendo tara delle inutili esasperazioni mediatiche, è fondamentale dare un segnale forte di inversione di tendenza su Pompei. La ricetta,in genere, quando ci si trova davanti a problemi di queste proporzioni, è quella di evocare – invocare l’intervento dei privati. In fondo, nella vicina Ercolano, la partnership con una fondazione americana, la Packard foundation, ha funzionato molto bene, garantendo buon funzionamento e rilancio di quegli scavi. Sono state introdotte modalità nuove di gestione e valorizzazione, trovando anche il modo di evitare la procedura spesso nefasta da queste parti, degli appalti.
Ma a Pompei le cose sono diverse: Ercolano è molto più piccola e controllabile. Lo scavo è un decimo dell’area scavata di Pompei. E lì è stato possibile un intervento pensato come integrazione sistematica tra un privato e il pubblico che probabilmente è una condizione cruciale di successo. Soprattutto Pompei si porta addosso uno stigma da cui è difficile liberarsi: quello di essere una rendita per troppi. E la peggior sventura che possa capitare a un bene culturale è proprio quello di essere vissuto dai soggetti che a diverso livello vi lavorano, come una rendita. Allora gli incroci di interessi bloccano ogni possibile cambiamento, dall’interesse del politico che si gioca Pompei come fucina di consenso, sino all’interesse ultimo di chi vende le proprie mercanzie alle porte degli scavi. Per questo l’intervento dei privati a Pompei sarà un fatto senza nessuna incidenza vera se prima non verranno affrontati e regolamentati gli interessi degli altri “privati” che oggi gravitano su Pompei. Certo, sugli scavi da 2,5 milioni di visitatori l’anno, grava la pressione di un’emergenza sociale che segna la vita di tutto il territorio. Bray ricorda sempre come all’ultimo concorso per 400 posti a Pompei si siano presentati 139mila candidati, per l’80% laureati. Ma se Pompei verrà sempre vissuta come una rendita che ne blocca ogni cambiamento vero, non risolverà mai i propri problemi, né tantomeno contribuirà ad affrontare quelli del suo territorio.

Da questo punto di vista uscite come quelle di Grillo finiscono solo con il creare confusione e con il fare arroccare tutti a difesa delle proprie posizioni. Accusare ad esempio che la Soprintendenza di Pompei di aver sbagliato a non far pagare i prestiti prestigiosi per la recente mostra dedicata agli scavi al British di Londra, è pura demagogia. Quella mostra ha avuto un successo straordinario, con un ritorno di stampa impressionante a livello mondiale. Per una volta tutti hanno parlato di Pompei per la sua eccezionalità e bellezza: nessuna campagna pubblicitaria sarebbe riuscita a fare altrettanto. Più che far pagare i reperti per quella mostra nel più importante museo archeologico d’Europa, è importante preoccuparsi che i tanti che avendola vista vorranno venire a Pompei, non ne restino amaramente delusi.

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