Sul terzo fascicolo del 2013 la rivista «La Nuova Europa» ha pubblicato il saggio, finora inedito in italiano, di Vladimir Solov’ëv Il bizantinismo e la Russia. Nonostante riguardi specificamente le vicende storiche della Chiesa ortodossa russa e sia stato scritto più di un secolo fa – nel 1896 – mi sembra una lucidissima disamina di un pericolo che percorre la vita ecclesiale in tutte le epoche ed a qualsiasi livello. Si tratta del tradizionalismo. Non si deve pensare – dimostra Solov’ëv – che esso sia un fenomeno di esclusivo appannaggio di qualche pazzerello che ama le vecchie devozioni, i riti del passato, turiboli e latinorum. Il fatto è che il tradizionalista ritiene che il cristianesimo sia dato una volta per tutte – il che è vero -, ma non in una modalità che vitalmente cresce, così come si sviluppa un corpo umano vivo, bensì in forme impermeabili a qualsiasi cambiamento. Insomma, il tradizionalista trasforma la tradizione, che è cosa viva, in una statua immutabile e, perciò morta.
La lucida prosa di Solov’ëv è più chiara di qualsiasi tentativo di spiegazione: «Quando la perfezione della Chiesa non è posta davanti ad essa ma viene riportata indietro, nel passato, e questo passato viene preso non come il fondamento (quale dovrebbe essere) ma come il vertice dell’edificio ecclesiale, allora succede necessariamente che le esigenze e le condizioni religiose fondamentali della vita umana che devono essere realizzate sempre da tutti, vengono invece identificate in alcune sue espressioni e forme storiche particolari, le quali nella loro specificità non possono che pesare come un fatto esterno sulla coscienza viva. È come se noi, ad esempio, staccassimo l’eredità spirituale che ci lega a un grande scrittore dal contenuto e dalla forma interiore della sua opera, e la identificassimo unicamente con l’aspetto tipografico molto imperfetto delle sue vecchie edizioni, che cercheremmo di riprodurre con precisione, ritenendo così di assolvere pienamente il debito di rispetto verso quel grande autore».
Prosegue Solov’ëv: «Di questo genere era l’atteggiamento del bizantinismo verso l’opera di Cristo. Rimaneva, certamente, la parte essenziale ed eterna della forma religiosa, ma questa non interrogava più la coscienza, non interessava la volontà; restava in primo piano ciò che era casuale e transitorio, e lo si conservava con cura; lo stesso flusso della tradizione cristiana, bloccato da un opprimente asservimento alla lettera, non si mostra più nella sua infinita ampiezza universale ma si arrocca nel particolare specifico di norme transitorie e locali».
Il risultato finale di questa posizione è il particolarismo che divide: «Pertanto il bizantinismo, sul piano religioso ed ecclesiale, si distacca dalla pienezza cristiana non per il fatto di venerare la Chiesa come un sacrario soprannaturale, conservato da una tradizione immutabile (poiché essa è effettivamente tale per il suo stesso fondamento), ma perché, separando l’elemento della tradizione dall’integralità vivente della religione universale, finisce per limitare e mortificare la stessa tradizione ecclesiale, identificandola soltanto con una parte della Chiesa e col solo tempo passato, così da trasformare la tradizione universale nella tradizione del passato locale».