Ho visto per la prima volta i segni di un’aperta discriminazione razziale nel luglio del 1957, durante una vacanza a Washington, DC. Io ero nato e vivevo a Portorico e in quell’estate del 1957 visitai New York City, Washington e Miami. Era la prima volta e nella capitale, propria all’ombra dei notevoli monumenti dedicati alla libertà di tutti, vidi molte case che affittavano stanze per turisti e studenti con grandi cartelli con la scritta “SOLO BIANCHI” e altre sfrontate dichiarazioni di discriminazione razziale contro i cittadini afroamericani,

Nell’America degli anni ’50, l’uguaglianza proclamata dalla Dichiarazione di Indipendenza non era certamente una realtà per persone di colore come neri, ispanici, asiatici, discriminati in vari modi, palesi o più nascosti. Tuttavia, è stato questo il periodo in cui le barriere razziali hanno cominciato a cadere per alcune sentenze della Corte Suprema e per l’aumentato attivismo dei neri che lottavano per la parità dei diritti.

Un esempio notevole è dato dall’attività del Dr. Martin Luther King, Jr., un pastore battista. Nel 1963, King e la sua squadra si concentrarono su Birmingham, Alabama, per indire una marcia non violenta di protesta. La polizia locale contrastò i manifestanti, tra i quali marciavano anche ragazzi e bambini, con cannoni ad acqua e cani poliziotto, e King fu arrestato e messo in prigione.

Divenuto così un caso nazionale, King collaborò anche all’organizzazione di una marcia che si tenne, con una grande partecipazione, a Washington il 28 agosto, esattamente cinquanta anni fa.

I manifestanti marciarono lungo il Washington Mall, dal Monumento a Washington al Lincoln Memorial, ascoltando le canzoni di Bob Dylan e Joan Baez e i discorsi dell’attore Charlton Heston, del presidente del NAACP (National Association for the Advancement of Colored People), Roy Wilkins, e del futuro deputato al Congresso per la Georgia, John Lewis. Di quelli che parteciparono alla marcia, solo John Lewis è ancora vivo e ha parlato alla celebrazione del cinquantenario.

Nel suo discorso il Dr. King continuò a insistere che “è giunto il tempo di sollevare la nostra nazione dalle sabbie mobili dell’ingiustizia razziale alla solida roccia della fratellanza… Sempre, e ancora e ancora, dobbiamo innalzarci fino alle vette maestose in cui la forza fisica s’incontra con la forza dell’anima.”, e che non ci si potrà dire soddisfatti “finché i nostri figli continueranno a essere spogliati dell’identità e derubati della dignità da cartelli su cui è scritto ‘Solo per bianchi’.

Poi venne la parte per cui il suo discorso verrà ricordato per sempre.

“Io continuo ad avere un sogno. Un sogno che è profondamente radicato nel sogno americano.

Ho un sogno, che un giorno questa nazione sorgerà per vivere il vero significato del suo credo: ‘Riteniamo queste verità evidenti di per sé: che tutti gli uomini sono stati creati uguali.’

Ho un sogno, che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di quelli che erano schiavi e i figli di quelli che erano i loro padroni potranno sedersi insieme alla tavola della fratellanza.

Ho un sogno, che un giorno anche lo stato del Mississipi, uno stato soffocato dal calore dell’ingiustizia, dal calore della oppressione,sarà trasformato in un’oasi di libertà e giustizia.

Ho un sogno, che i miei quattro figli vivranno un giorno in una nazione dove non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per la sostanza della loro persona.

Oggi ho un sogno.

Ho un sogno, che un giorno, là in Alabama, con i suoi razzisti accaniti, con il suo governatore con la bocca piena di parole come opposizione e annullamento, che un giorno proprio lì in Alabama, ragazzini neri e ragazzine nere potranno tenersi per mano con ragazzini bianchi e ragazzine bianche, come fratelli e sorelle

Oggi ho un sogno.

Ho un sogno, che un giorno ogni valle sarà innalzata, ogni collina e montagna sarà abbassata, i luoghi scoscesi saranno resi piani, quelli tortuosi dritti e la gloria del Signore sarà rivelata e tutti la potremo vedere, insieme.

Questa è la nostra speranza. Questa è la fede con cui torno al Sud. Con questa fede potremo trarre dalla montagna di disperazione una pietra di speranza. Con questa fede potremo trasformare tutte le stridenti discordie della nostra nazione in una bella sinfonia di fratellanza. Con questa fede saremo capaci di lavorare insieme, pregare insieme, lottare insieme, andare in prigione insieme, batterci per la libertà insieme, sapendo che un giorno saremo liberi.

Questo sarà il giorno in cui tutti i figli di Dio potranno cantare con un significato nuovo ‘Patria mia, è di te, dolce terra di libertà, è di te che io canto. Terra dove sono morti i miei padri, terra dell’orgoglio dei Pellegrini, da ogni vetta risuoni la libertà.

E se l’America deve essere una grande nazione, questo deve diventare vero.

Dunque, facciamo risuonare la libertà dalle straordinarie colline del New Hampshire. Facciamo risuonare la libertà dalle poderose montagne di New York. Facciamo risuonare la libertà dagli alti Allegani della Pennsylvania! Facciamo risuonare la libertà dalle innevate Montagne Rocciose del Colorado! Facciamo risuonare la libertà dai pendii della California!

Non solo. Facciamo risuonare la libertà dalla Stone Mountain della Georgia! Facciamo risuonare la libertà dalla Lookout Mountain del Tennessee! Facciamo risuonare la libertà da ogni collina e montagnetta del Mississipi! Da ogni montagna risuoni la libertà!

E quando questo accadrà, quando lasceremo risuonare la libertà, quando la faremo risuonare da ogni villaggio, da ogni paese, da ogni stato e da ogni città, avremo accelerato la venuta del giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, protestanti e cattolici, uniranno le loro mani e canteranno le parole del vecchio spiritual negro: ‘Finalmente liberi! Finalmente liberi! Grazie, Dio Onnipotente, siamo finalmente liberi!’

Io c’ero, ai margini della folla di uomini e donne che applaudivano, si abbracciavano e piangevano. E mi ricordavo dei cartelli con “solo per bianchi”, proprio l’esempio fatto dal Dr. King. E dunque il mio sogno continua.