Il progetto di legge sull’“omofobia”, il cui dibattito è stato ora rinviato, merita tuttavia la più grande attenzione. Anche chi non lo condivide affatto farebbe un errore ad augurarsi di potersene liberare con la tecnica del cosiddetto insabbiamento, una delle tante eredità nefaste degli anni paludosi della Guerra fredda. Il suo contenuto liberticida va infatti anche ben oltre il suo tema specifico, configurandosi come un altro dei molti segnali che, in quest’epoca di purtroppo stanca democrazia, preannunciano il possibile ritorno a forme di autoritarismo, diverse nello stile, ma non nella sostanza, rispetto a quelle che funestarono il XX secolo.
Su questioni che attengono a valori fondamentali, se non la pensi come me tu mi odi, turbi la concordia civile, e presto o tardi mi aggredirai. Non importa che ciò non accada attualmente. Presto o tardi accadrà, anzi in ogni caso è come se fosse già accaduto. Per difendermi dunque da tutto questo ho pertanto diritto di invocare a mia difesa il braccio della legge e l’aiuto dello Stato, titolare del monopolio legittimo della forza. È questo lo sfondo su cui si collocano le prospettate norme contro l’“omofobia”. Da ciò consegue a contrariis che la concordia civile implica il pensiero unico, in ultima analisi definito da chi detiene il potere reale (di cui oggi il potere politico è solo una componente, e sempre più spesso non una componente principale). Tale equivoco va combattuto con forza alla radice, poiché in caso contrario rigermoglierà nei più diversi campi come una mala pianta.
Venendo al caso specifico, rivendico il diritto di considerare l’omosessualità un’anomalia, che come tale non deve essere oggetto né di discriminazione, né di normalizzazione. È un’anomalia per motivi evidenti, che si possono oscurare solo a patto di negare il principio di evidenza, negando il quale si provoca però a cascata il crollo di tutta la nostra cultura; e quindi poi anche il blocco del nostro sviluppo, come oggi si vede sempre più chiaramente. La fertilità sia della natura che del pensiero si fondano sull’incontro tra i diversi. L’omosessualità, non a caso sterile per natura sua, è invece incontro tra uguali. Di qui il carattere obiettivamente orribile della fertilità surrogata della coppia omosessuale.
Tutto ciò chiarito, non posso accettare che tali giudizi mi vengano imputati ex lege come odio verso gli omosessuali, che non odio affatto (caso mai ho compassione, nel senso originale del termine, per una condizione tanto difficile). Non accetto che mi possa venire attribuito per legge un odio che non ho. E mi sembra comunque tanto insensata quanto pericolosa la pretesa di governare a termini di legge la coscienza morale. Nella misura in cui esiste effettivamente, e non è gonfiato ad arte, il problema è educativo, non legislativo, né tanto meno giudiziario.
La legislazione in vigore tutela in modo già esauriente il diritto di non venire offesi, e sanziona gli offensori. Se dunque si danno casi di irrisioni e di vessazioni di omosessuali, i responsabili di tali atti possono e anzi devono venire perseguiti a norma delle leggi vigenti. Come già è stato osservato, introducendo nuove norme a specifica sanzione di offese a carico di omosessuali si farebbe di costoro una categoria specificamente protetta, il chi implica ipso facto uno status di minorità. Anche in caso di eventuale recrudescenza di episodi di genere non c’è bisogno di nuove norme. Se già non ci pensassero da sole basterebbe un richiamo del ministro degli Interni alle nostre cinque polizie statali, delle quali ben tre hanno competenza in materia di polizia del territorio.
Dal caso specifico torniamo però all’idea di cui esso è un’applicazione: l’idea cioè che se su qualcosa di fondamentale non sono d’accordo con te allora perciò stesso ti odio; e quindi lo Stato deve difenderti da me. Ne consegue, dicevamo, che su ogni questione fondamentale ci deve essere un pensiero unico. Chi lo stabilisce? Volendo escludere a priori la ricerca di quello che Giovanni Paolo II chiamò lo “splendore della verità”, chi lo stabilisce è chi detiene il potere. Chi però detiene oggi il potere? Nel mondo in cui viviamo esso sta in modo prevalente, anche se non esclusivo, nella mani non dei politici bensì di gruppi di pressione (lobbies) internazionali tanto influenti quanto poco visibili. Questi gruppi di pressione avviano e promuovono potenti luoghi comuni che poi procedono anche autoalimentandosi.
Sono invincibili? No, ma vanno fronteggiati adeguatamente. In primo luogo, nell’opera di contrasto di tali tendenze non ci si deve comunque accontentare di un risultato purchessia. Niente insabbiamenti dunque, ma ampi dibattiti voluti come grandi occasioni per mobilitare quel che resta del popolo contro l’avanzata del Grande Fratello (quello temibile di Orwell, beninteso, non quello grottesco di Mediaset).