Il femminicidio e il “potere” di Maria

Secondo FEDERICO PICHETTO, spiegare agli italiani come vanno trattate le donne in quanto tali equivale alla sconfitta di 60 anni di democrazia e 50 anni di femminismo

Ci sono casi in cui i provvedimenti legislativi dicono molto della cultura e dell’educazione di un popolo. Se domani, ad esempio, fosse approvata una legge che spiegasse ai finlandesi (o a qualunque altro popolo) come si debbano usare le penne stilografiche, che opinione vi fareste di quel popolo? Ebbene ieri, in Italia, è stato approvato dal Governo un pacchetto di provvedimenti molto importante in materia di “femminicidio” che, sostanzialmente, spiega agli italiani come si dovrebbero trattare le donne.

Il punto, ovviamente, non sono le misure contenute nell’intervento dell’esecutivo, tutte plausibili e probabilmente adeguate, ma la necessità stessa che un simile pacchetto possa essere varato. Essere arrivati a questo punto, infatti, dopo sessant’anni di democrazia e cinquanta di femminismo, è una sconfitta colossale sia per la democrazia, che non riesce a generare un popolo capace di educare i propri figli se non con punizioni e divieti, sia per il femminismo, che corona il suo giubileo di conquiste civili con una legge che tutela le donne come si fa con una specie protetta dal wwf. Dietro questo provvedimento, insomma, c’è qualcosa che non va. Quando in una società non si sa più essere “maschi” o “femmine”, quando c’è ambiguità perfino su che cosa si intenda con la parola “maschio” o “femmina”, e tutto ciò che è ritenuto “femmina” è giudicato inferiore e a disposizione dei capricci e dei desideri del “maschio”, allora qualcosa davvero non quadra. La donna, nel mondo occidentale, è certamente sempre stata considerata inferiore rispetto all’uomo. Questa inferiorità, tuttavia, non è mai sorta da un giudizio di natura (le donne sono realmente inferiori), ma da un’associazione antropologica per cui sussisterebbe un’equivalenza tra l’essere maschi e l’avere il potere. Se il potere sulla comunità, come sulla famiglia o sullo stato, spetta al maschio appare logico che, secondo una certa concezione del valore del potere, la femmina sia un elemento di serie b. La società che ne emergerà sarà pertanto una società maschilista, tendente a “usare” del femminile per il raggiungimento degli scopi “maschili”, dalla fecondità al dominio, fino alle più istintive manifestazioni dell’autoritarismo che mietono ogni giorno centinaia di vittime per mezzo della violenza domestica o, peggio ancora, dello stesso plagio psicologico e fisico.

Il femminismo ha pensato bene, lungo il corso del novecento, di risolvere il problema “concedendo più potere alle donne”, ossia trattando la condizione maschile come una situazione desiderabile per qualunque femmina. Ma quale donna può considerare appetibile una posizione in cui è il potere, dal poter fare al poter essere, che qualifica la dignità e il valore di una persona? Recentemente Papa Francesco ha esortato i cristiani, e i teologi in particolare, a pensare con più profondità una “teologia della donna”. La Rivelazione cristiana, infatti, ha qualcosa di proprio da dire su tutto questo. Dio, creando l’uomo, ha voluto crearlo “distinto e complementare”, ponendo la diversità come valore fondamentale dell’essere umano. Tutte le volte che gli uomini hanno invece voluto abolire la diversità, in favore di un’uniformità che uccide ogni pluralità (penso soprattutto all’episodio della torre di Babele), Dio è intervenuto perché ciò non accadesse, ben consapevole che, qualora gli esseri umani fossero tutti uniformati, si potrebbe facilmente stabilire su di essi un potere capace di dominarli e di organizzarli definitivamente. La diversità, a partire da quella sessuale, è quindi la garanzia della libertà dell’uomo poiché l’umano, proprio per il fatto di essere sempre nuovo e sempre diverso, unico e irripetibile, non potrà mai essere inquadrato in uno schema di dominio assoluto. Finché esisteranno le differenze esisterà sempre la possibilità di non ridurre la vita ad un insieme di azioni prevedibili e addomesticabili. Per questo i cristiani vedono in Maria l’immagine della libertà. Essa ha saputo vivere la propria originalità e diversità ad un livello tale per cui Dio stesso ha desiderato essere accolto e ospitato nel suo grembo. Maria non ha voluto essere Giuseppe, e neppure ha lottato per avere il posto di Pietro: essa ha vissuto fino in fondo la propria condizione di donna, ribaltando le logiche maschiliste del suo tempo che vedevano il potere come la condizione necessaria determinante il valore dell’Io. No, Maria, accettando e assumendo la propria “diversità”, ha mostrato a tutti che è l’amore ciò che misura la statura di un uomo, un amore vissuto come accoglienza, come sacrificio e come pazienza.

Proprio queste tre dimensioni, l’accoglienza, il sacrificio e la pazienza, definiscono l’essere femmina secondo il cuore di Dio e proprio queste tre dimensioni indicano i confini di un’identità che non è inferiore a quella maschile, ma che è diversa e che richiama l’umano a non inseguire il potere come forma del proprio compimento, ma a guardare all’amore – dato e speso – come all’indicatore più potente del valore e della dignità dell’Io. In quest’ottica assume tutto un altro peso il gesto di un Dio che, avendo tutto il potere a disposizione, sceglie di svuotare se stesso e di diventare uomo per poter amare e donare la propria vita a vantaggio di tutti. Dio non sappiamo se sia maschio o femmina. È persona, ci insegna la teologia. E la persona è il luogo dove il maschile e il femminile giungono a compimento, mostrando come sia l’amore l’orizzonte in cui ogni potere trova il suo significato e come siano il potere e il volere la dimensione più matura dell’amore. Per questo due persone si sposano: per trovare nell’altro quella storia che rende più matura e consapevole la mia storia. Per questo il matrimonio non potrà mai fare a meno della complementarietà tra maschile e femminile, proprio perché esso non è un semplice contratto, ma il luogo giuridico, sociale e morale, dell’incontro psichico e fisico di due forze che, distinte e complementari, governano e guidano la Storia. La questione femminile non si risolve dando più potere alle donne, ma riscoprendo il significato profondo e vitale del proprio essere donna. Io, uomo, ho bisogno di una donna per essere pienamente Io. E io, donna, ho bisogno di un uomo per essere davvero me stessa. Dentro questa legge, e questa serena certezza, non c’è bisogno di nessun pacchetto legislativo di tutela dell’uno o dell’altro perché il rispetto della diversità, vissuto con sana reciprocità, spalanca sempre le porte di una relazione autentica ed equilibrata. Potrà sembrare riduttivo, ma ciò di cui hanno bisogno oggi le donne è molto di più del rispetto degli uomini, è la riscoperta, vera e sincera, della gioia di essere “femmina”.

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