Madrid è rimasta senza le Olimpiadi del 2020. La sorpresa tra gli spagnoli, dopo la decisione presa dal Comitato olimpico internazionale (Cio) a Buenos Aires, è stata grande. Molti erano convinti che, dopo due tentativi fatti nel passato, il terzo avesse grandi possibilità di successo. La delusione è stata collettiva e profonda quando Madrid è stata eliminata nella prima votazione: è arrivata alle spalle di Istanbul e senza alcuna possibilità di competere con Tokyo. In buona sostanza, è stata una sconfitta umiliante.
Madrid ha perso la partita a causa di un sistema di voto nel Cio poco trasparente e del fatto che Parigi, per puntare alla candidatura nel 2024, aveva bisogno che vincesse una città non europea: le leggi non scritte fanno infatti sì che le Olimpiadi cambino ogni volta continente. Senz’altro ha anche influito il fatto che la Spagna non è più “sexy”. La Barcellona del 1992 rappresentava un Paese che tornava a essere giovane e attrattivo, in cui ancora vibrava l’eco della movida degli anni ‘80. Ora invece la Spagna fa parte del club dei paesi problematici del Sud (con tanta disoccupazione e una bolla immobiliare da digerire), in un’Europa sempre più irrilevante, in un pianeta dove cresce il peso dell’Asia e del Pacifico.
Geopolitica a parte, la delusione del cittadino medio spagnolo, che quotidianamente deve fare i conti con la disoccupazione, l’insuccesso scolastico dei suoi figli e una profonda incertezza su quanto avviene nella sua vita, è stato un fenomeno interessante. Un uomo normale, anche se ciò può sembrare infantile, aveva visto nelle Olimpiadi un fatto positivo. Madrid 2020 rappresentava la possibilità di un’esistenza eroica, come quella degli atleti, a portata di mano. Per alcuni giorni il clima sociale in Spagna è cambiato. La battaglia per la candidatura olimpica ha elevato l’orizzonte, introducendo la possibilità di sentirsi parte di una storia che andava al di là del solito grigiore, della polarizzazione politica e ideologica, della stanchezza dovuta a una durissima recessione. Per alcuni istanti, il sentimento comune non è stato quello della denuncia, delle accuse per quello che non va.
Può sembrare esagerato, ma il desiderio di contare molto nel mondo per alcuni giorni, di fare qualcosa di buono e grande, ha introdotto un briciolo di tensione verso l’ideale. Quella tensione che permette di riconoscere, in un clima di scontro e dialettica che stanca, una certa unità. La Spagna ha vissuto nella sua storia recente momenti luminosi di questo tipo, come nel corso della Transizione dalla dittatura alla democrazia o nelle manifestazioni popolari contro il terrorismo. Il perdono reciproco dopo un lunghissimo periodo post-bellico o la protesta contro l’ingiustizia, così come, seppur in misura minore, un progetto per ospitare le Olimpiadi, rendono evidente che una democrazia non può vivere solo di procedure o di un giusto equilibrio tra maggioranze e minoranze: serve un “fattore differenziale”.
Senza di esso, senza quello che potremmo chiamare “ingrediente di verità” o “ingrediente di bellezza”, a livello formale tutto sta in piedi, ma la meschinità dell’ideologia finisce per rendere più dura l’esistenza personale e comune. L’ingrediente di verità o di bellezza ha caratteristiche ben precise. Non basta, sebbene sia necessaria, una verità teorica scritta in una Costituzione. Se non è qualcosa di tangibile, capace di far muovere insieme, inevitabilmente l’altro cessa di essere un bene e diventa un nemico.
La storia recente dell’Europa mostra esempi di una dinamica differente: il desiderio di libertà nei paesi comunisti prima della caduta del muro era qualcosa di concreto e tangibile. E in molti casi ha reso possibile il miracolo per cui i dissidenti hanno visto i funzionari del partito oppressore non come nemici, ma come uomini fatti del loro stesso tessuto, come in Polonia. La ricostruzione dell’Europa dopo la Seconda guerra mondiale è un altro esempio lampante: il desiderio di pace ha permesso a francesi e tedeschi di riconoscere che erano di più le cose che li univano rispetto a quelle che li dividevano.
L’espressione “Altius” (che vuol dire “più in alto”) del motto olimpico, qualunque sia la sua origine, contiene un ottimo segreto.