Impossibile. È la prima reazione che molti hanno avuto in Spagna quando hanno appreso del dialogo epistolare tra l’ateo Scalfari, direttore di Repubblica, e papa Francesco. Tuttavia, quando da paginasdigital.es abbiamo invitato l’editorialista e vicedirettore de El Mundo, Pedro Cuartango, a commentare la lettera del Papa, lui ha risposto con un articolo in cui ha scritto che “siamo uniti nella ricerca dell’Assoluto”. La risposta di Cuartango è un gesto eccezionale? Sarebbe una tragedia, perché Francesco ha detto chiaramente che “il dialogo è indispensabile”. La mancanza di un dibattito sulla fede è un’espressione di quella che Ignacio Carbajosa ha definito “l’autocensura spagnola”. “Secondo una specie di legge non scritta possiamo parlare di quello che è ‘naturale’ sempre e finché non si arriva a una domanda religiosa terribilmente imbarazzante in una conversazione che esca dall’ambito privato”, ha detto il professore dell’Università San Damaso di Madrid al quotidiano ABC.
Questa anomalia ha ragioni storiche. La Spagna ha vissuto nel XX secolo una guerra di religione simile a quelle avvenute in Europa tra il XVI e il XVII secolo. Come ben ricorda Massimo Borghesi in “Critica della teologia politica”, quegli scontri tra cattolici e protestanti provocarono una privatizzazione del fatto religioso con l’obiettivo di garantire la pace. Una parte dell’illuminismo divenne deista o atea per evitare scontri. “L’incomunicabilità” di cui parla Francesco si è prolungata tra credenti e non credenti fino agli inizi del secolo scorso. Poi le due guerre mondiali hanno messo in crisi la sufficienza dell’illuminismo ateo; ciò, insieme alla partecipazione leale e decisiva dei cattolici alla ricostruzione europea, ha permesso di far crollare i muri alla fine del XX secolo.
In Spagna non è stato così. L’ombra dello scontro si è protratta fino ai giorni nostri. Durante la Transizione alla democrazia è stato quasi sempre utilizzato il consiglio di Hobbes: la stabilità dello Stato è maggiore quanto più la fede diventa un fatto privato. Cosa può cambiare questa situazione? Per quel che riguarda la Chiesa, Cuartango dice: “L’essenziale è accettare che siamo liberi e responsabili delle nostre azioni. Solamente a partire da questo postulato la Chiesa può aprirsi al mondo”. La libertà come criterio, come condizione indispensabile per la verità. Il XXI secolo costerà più lavoro ai cattolici spagnoli che agli altri, perché dovranno smettere di sognare un’egemonia politica, culturale o morale e riconoscere che l’unica dinamica utile è quella della testimonianza.
Per questo si può dire che quella di Francesco a Scalfari non è una lettera agli atei, ma agli spagnoli. Ci sono due passaggi che ci riguardano in modo particolare. Il primo è quello in cui il Papa spiega che il lavoro nella società civile “non significa fuga dal mondo o ricerca di qualsivoglia egemonia, ma servizio all’uomo, a tutto l’uomo e a tutti gli uomini, a partire dalle periferie della storia”. Il secondo è la parte in cui il Pontefice spiega che percorso personale ha fatto per affermare che Gesù è Figlio di Dio.
La libertà di cui parla Cuartango non è solamente una condizione politica e sociale, ma la forma del rapporto tra ogni uomo e quest’altro uomo chiamato Gesù di Nazareth. È una libertà che usa la ragione e che si sorprende davanti all’autorità umana del Galileo (“Chi è costui che…?”). Una libertà che con la ragione va oltre la ragione, perché ha avuto “un incontro personale, che ha toccato il mio cuore e ha dato un indirizzo e un senso nuovo alla mia esistenza”. Un’indicazione preziosa che dice che se il credente non è attratto da un testimone della fede presente e contemporaneo, tutto si riduce a etica, perdendo ciò che è proprio del cristianesimo.
Solamente un’esperienza che confida pienamente ed esclusivamente nella libertà – la libertà di comprovare che la fede è ragionevole e utile e la libertà dell’altro – può portare a un dialogo con tutti. Compiendo quel che diceva Sant’Anastasio: “La caratteristica di una religione non è l’imposizione, ma la persuasione”.