Prima mezza giornata di ufficio dopo le vacanze; sistemo un po’ di cose, riprendo il filo dei lavori lasciati interrotti e riavvio così la macchina delle incombenze quotidiane. In pausa pranzo vado a prendere un panino nell’unico bar aperto nella zona.

Al tavolo di fianco al mio sono seduti quattro dipendenti di una ditta lì vicina (hanno tutti la stessa maglietta col logo aziendale) e parlano – ovviamente – delle vacanze appena finite. Io leggo il giornale, ma non posso evitare di sentire stralci della loro conversazione. Si dichiarano sostanzialmente contenti delle ferie e – altrettanto ovviamente – insoddisfatti di essere dovuti tornare al quotidiano “vivere che taglia le gambe“, anche se non lo chiamano proprio così come l’aveva definito Pavese. Quando poi passano a descrivere perché sono stati contenti delle loro vacanze, mi accorgo che ogni loro racconto ha un tratto comune: l’esagerazione. Anzi, è quasi una gara a chi la spara più grossa. “Arrivati al rifugio, dice uno, abbiamo mangiato polenta e capriolo; eravamo in quattro e ci siamo scolati altrettante bottiglie di vino”. “Beh, replica l’altro, nella grigliata che abbiamo fatto al mare avrò bevuto almeno una decina di birre”. “Io non andavo mai a letto prima delle tre”, “Noi solo quando arrivava il mattino”. “Abbiamo fatto una festa che non mi sono mai divertito tanto”. “I fuochi d’artificio che hanno fatto in spiaggia erano giganteschi, ci avranno speso chissà quante migliaia di euro”. Insomma, c’era allegria e simpatia nei loro racconti; nello stesso tempo era evidente che stavano esagerando per dare una patina di eccezionalità a quanto avevano vissuto.

“Esagerare” indica originariamente l’operazione di innalzare, con tutti i materiali a disposizione, un argine (in latino agger), per proteggersi dallo straripamento di un fiume. Le evidenti esagerazioni che ho sentito in quel bar servivano inconsapevolmente a innalzare – con fatti fuori dal comune, enfaticamente sovradimensionati – un riparo contro l’acqua della quotidianità insignificante. Per qualche settimana il ricordo di queste vacanze da supermen sarà sufficiente allo scopo. Poi si cercherà altro, magari le esagerazioni del week end.

Nel linguaggio corrente, però, “esagerare” significa piuttosto rompere gli argini, uscire dalle norme, spaccare vincoli e limiti. E infatti la vacanza è esattamente il momento in cui si spezza la monotonia della routine per dedicarsi, senza impacci, a ciò che interessa di più, a ciò a cui si tiene per davvero. Che tutto questo abbia avuto – nella conversazione casualmente captata al bar – la forma di qualcosa di e-norme, il-limitato, a-normale, mi ha fatto riflettere, con tenerezza, a come tutti noi siamo alla ricerca dell’eccezionale, di qualcosa cioè che apra i confini del solito, dilati le prospettive del quotidiano, introduca profondità nel superficiale e altezza nel meschino, qualcosa che sia tanto ampio da potersi adeguatamente paragonare alla sterminata ampiezza del desiderio che – per dirla con Foscolo – “rugge” nel cuore.