Quando avvenne l’ultimo shutdown governativo (il governo può effettuare pagamenti solo per i servizi essenziali, ndt), nel 1995, non ne fui molto preoccupato, perché personalmente non ricevevo denaro dal governo federale. Inoltre, era comunque difficile pensare come poteva succedere che il governo degli Stati Uniti d’America non fosse in grado di far fronte a una gran parte delle sue spese. Sembrava una cosa irreale, una specie di gioco, come un Monopoli, solo che in questo gioco il governo non finiva il suo denaro o i suoi possedimenti, semplicemente ti sbatteva in prigione.

Stiamo per rigiocare ancora una volta lo stesso gioco e, qualunque cosa questo significhi per i politici di Washington, ciò che è realmente in gioco è l’interesse di chi dipende, in un modo o nell’altro, dai fondi del governo. A meno che Repubblicani, Democratici e Presidente trovino una qualche sorta di accordo, il primo di ottobre lo shutdown finanziario del governo sarà inevitabile.

Io non so molto di economia e così cerco solo di capire quanto di razionale c’è nel dibattito sulla riforma del sistema sanitario, l’Obamacare, come ormai viene chiamato. In realtà, è proprio questa riforma che è al centro di tutta la disputa. Incapaci di bloccare l’approvazione della riforma sanitaria, i Repubblicani conservatori vedono ora la possibilità di bloccarne il finanziamento, minacciando lo shutdown del governo e incolpando Obama di aver rifiutato un compromesso con l’opposizione.

La politica e i calcoli politici, non l’ideologia conservatrice o progressista, sono ciò che muove queste persone o questi gruppi. In un interessante articolo su This Week dell’ultima settimana, Michael O’Brian fa un elenco dei politici che potrebbero trarre vantaggi dalla crisi. Il punto rilevante della sua analisi è che i sondaggi mostrano sempre più che gli americani, compresi quelli che non sarebbero colpiti dal taglio dei fondi all’Obamacare, preferiscono la possibilità dello shutdown alla distruzione della scelta assicurativa sulla sanità. Tuttavia, c’è chi si oppone alla riforma sanitaria malgrado l’interesse politico a che venisse finanziata, mentre altri la difendono anche se verrebbero avvantaggiati dal blocco dei finanziamenti.

In primo luogo è il Presidente stesso, perché in caso di perdita potrebbe accusare i Repubblicani di aver tolto l’assistenza sanitaria ai poveri, alle famiglie e ai giovani. Obama non può più essere rieletto, ma rimarrà un ex presidente con un notevole potere politico, come è accaduto per Bill Clinton nel 1995.

Vi è poi il senatore Ted Cruz, diventato la voce e il modello del conservatorismo non minaccioso, intelligente e amichevole. Cruz è in Senato solo da nove mesi, ma ha speso le vacanze di agosto in giro per il Paese attaccando l’Obamacare. Se la sua posizione vince, la sua influenza politica diventerà molto forte, se invece perde, l’energia, la dedizione e la fedeltà spese per il partito aumenterà il suo capitale politico personale.

Sull’altro fronte, Steve Israel, deputato Democratico per Long Island, è sconosciuto a livello nazionale, ma è importante all’interno del Partito Democratico in quanto presidente del comitato che aiuta i membri del partito a conquistare seggi nel Congresso. Trarrebbe quindi indubbi vantaggi dallo scontento verso i Repubblicani derivante dalla manomissione della riforma sanitaria.

Un altro possibile beneficiario dell’esito per il Gop di questa contesa, sia positivo che negativo, è il Tea Party, bisognoso in questo momento di una rivitalizzazione, che potrebbe accusare i dirigenti Repubblicani di aver perso proprio per essersi distaccati dal Tea Party stesso. In caso di vittoria, potrebbero sempre sostenere che è grazie a loro e che sono la chiave per future vittorie dei Repubblicani.

Insomma, per tutti costoro, comunque vada vi sarebbero vantaggi politici. E infine, c’è Hillary Clinton, che è molto brava nel trasformare una disfatta in vittoria, e che è onnipresente.