Forse non a tutti sarà balzata agli occhi la decisione dell’Università Bocconi di Milano, una sicura eccellenza di questo Paese, di investire un budget considerevole (settantamila euro pro capite in tre anni) per aiutare “ragazzi di famiglie con situazioni economiche difficili”, immigrati e non, dando loro la possibilità di studiare in una delle scuole più prestigiose (ma anche più care) d’Italia. 

In un’intervista rilasciata ieri a Repubblica, il rettore dell’ateneo Andrea Sironi illustra l’iniziativa sottolineando i termini di un’opera che vedrà la Bocconi impegnata nelle scuole di periferia alla ricerca di studenti poveri, non necessariamente brillantissimi ma svegli e determinati.

Inutile dire come un aiuto simile possa generare determinazione in situazioni che di per sé porterebbero piuttosto alla depressione. E come esso si colleghi quasi naturalmente all’insistenza di Papa Francesco sul tema delle “periferie”. 

È sulla novità civile e culturale di questa iniziativa che vorrei soffermare lo sguardo. Qui, infatti, non ci troviamo più solo in un ambito definibile dall’espressione “aiuto allo studio”. C’è molto di più: c’è, precisamente, l’inversione di un modello borbonico di rapporto tra istituzioni e società, per cui il cittadino gioca nei confronti delle istituzioni un ruolo di sudditanza, che va da quello del “beneficiato” a quello del potenziale nemico. 

Il modello-Bocconi viene, spiega Sironi, dalla Francia, e non è un caso, perché proprio la Francia – e non da ora ma dal XVII secolo – ha sempre investito sulle risorse culturali e intellettuali nate sul territorio, considerandole risorse del Paese tout-court. 

Detta in parole povere: una persona intelligente, volonterosa, attiva, che spende il proprio tempo non solo per far soldi ma per accrescere le conoscenze proprie e altrui è una risorsa della nazione, e come tale deve essere aiutata e protetta, possibilmente in modo gratuito. La Francia permette alle sue menti più brillanti di coltivare a tempo pieno la propria disciplina (e di trasmetterla agli altri) attingendo a livelli che nelle nostre università sono, tranne rari casi, irraggiungibili. 

L’iniziativa della Bocconi rappresenta una forma di comunicazione molto forte per tutto il mondo culturale italiano. Cambia, come detto, il modo di guardare la società nel suo insieme: non più solo un potenziale cliente dell’università, un compratore di conoscenze e informazioni da agevolare, al più, con borse di studio et similia, ma una risorsa rispetto alla quale chi produce sapere deve esercitare una concreta responsabilità. 

L’espressione “industria culturale”, del resto, ci fa ben comprendere come la cultura venga concepita in Italia come un prodotto industriale (cosa che non è affatto!). Il degrado è inevitabile, e la colpa di questo degrado è anche dell’università, che da molto tempo ha lasciato ad altri soggetti (primo fra tutti, purtroppo, la tv) il ruolo di guida e di modello culturale. 

La Bocconi, passando da una posizione di semplice agevolazione passiva a una piena, attiva assunzione di responsabilità sociale, indica al Paese, e prima di tutto allo Stato, una via nuova: quella per cui il singolo cittadino − poco importa se italiano o di origine straniera − smette di essere guardato soltanto come un suddito o come un compratore ma come una risorsa vera per il bene comune.