Sabato prossimo vivremo insieme una speciale giornata di digiuno e di preghiera per la pace in Siria, in Medio Oriente, e nel mondo intero“. Mercoledì ho avuto la fortuna di essere in piazza San Pietro, in occasione della prima udienza dopo la pausa estiva, quando il papa, prima di accomiatarsi, ha rinnovato con queste semplici parole l’invito a quel gesto, per chiedere al Signore che la guerra sia scongiurata. Sono state parole pronunciate con la calma che lo contraddistingue, senza nessuna enfasi, e con quella abituale, straordinaria naturalezza. Eppure il Papa stava chiedendo un gesto la cui rilevanza era enorme, e che aveva certamente creato un po’ di scompiglio in tante cancellerie occidentali e non solo.



Mi ha colpito inoltre il fatto che oltre a quelle parole il Papa abbia voluto precisare l’ora in cui invitava ad un momento di preghiera in Piazza San Pietro: alle 19. È una puntualizzazione che suona insolita, perché in genere sono altri i canali attraverso cui si comunicano i dettagli, proprio per lasciar libero il Papa di sottolineare e approfondire le ragioni di questo gesto.



Eppure in quel “ci vediamo alle 19” c’è un qualcosa che parla di pace molto più di qualsiasi discorso. Mi sono chiesto il perché: in fondo il Papa non ha dato ragioni particolari, non ha fatto analisi della situazione, non ha accennato agli scenari in corso e a quelli futuribili. E non ha neanche usato toni apocalittici per sollecitare, legittimamente, la nostra attenzione. Niente di tutto questo. Ragionando, ho capito di essere stato molto colpito dall’uso di quel “noi”. “Vivremo insieme“, ha detto Francesco. C’è come un tono di familiarità in quell’invito, un senso di amicizia istintiva verso ciascuno che già di per sé comunica una dimensione di pace. È con gli amici che si fissano appuntamenti in quel modo, precisando luogo ed ora…



Poi il Papa ha aggiunto un grazie a tutti quelli che avevano già aderito al digiuno (tantissimi: incredibile la capacità di persuasione di Francesco) e un grazie anche a quanti “vorranno unirsi, nei luoghi e nei modi loro propri, a questo momento“. Bellissima modalità di rispettare la libertà di tutti, di non essere impositivo neanche quando in gioco c’è una proposta senz’altro buona.

Ovviamente l’aria che tira nel mondo è molto diversa. La logica brutale della guerra continua ad annientare migliaia di uomini, con logiche sempre più oscure e senza prospettive. Sono guerre in cui il tasso di odio sembra così alto da escludere che alla fine ci possa essere un vincitore: ci saranno sempre e solo sconfitti.

Ed è ben diversa anche l’aria che tira nelle stanze del potere, dove leader sempre più chiusi nella logica del loro tornaconto, dimostrano una drammatica incapacità non solo di agire ma anche lontanamente di capire cosa stia accadendo su quei fronti. E davanti alla realtà che scappa via dai loro radar, ricorrono alla soluzione più selvaggia, inutile e primitiva che si conosca: la guerra.

Tanto questi leader sembrano oggi delle maschere, drammaticamente incapaci di rendere ragione delle loro scelte, tanto, all’opposto, il Papa, con la semplicità disarmata del suo porsi di fronte alla realtà, sa far breccia e conquistare il cuore delle persone, senza differenze di appartenenza né di fedi. Perché la pace per lui prima che un valore è un senso di amicizia verso ogni uomo. E non è un caso che mercoledì, dopo il solito veloce discorso dell’udienza, si sia fermato in piazza quasi per due ore per salutare centinaia e centinaia di persone. Quanta pace c’è in quella simpatia verso l’altro, qualunque volto e colore abbia.