Rientro a Mosca da una parentesi italiana di dieci giorni e chiedo a chi è rimasto qui cosa sia successo di significativo. Niente. Niente di particolare. È tutto tetramente confuso come sempre: degli attentati di Volgograd si è già parlato e le manovre politiche di Putin – i preparativi per le olimpiadi di Sochi (tra cui si annoverano la grazia ad hoc concessa al nemico storico Mikhail Khodorkovsky e alle famigerate Pussy Riot), le trattative sempre sul filo del rasoio con l’Ucraina, le riforme di sanità e istruzione portate avanti subdolamente senza che la maggior parte della gente abbia la possibilità di rendersene conto – non sono certo una novità. Niente di nuovo, quindi? “Beh, ci sono i doni dei magi!” mi dicono.
In occasione del Natale ortodosso – scopro – sono state portate a Mosca da un monastero del monte Athos delle reliquie, i doni dei magi, e la gente qui si è messa subito in fila davanti alla Cattedrale di Cristo Salvatore per venerarle e implorare grazie. Inizio a informarmi in internet e chiedendo ad amici. Ci sono varie scuole di pensiero: la prima grida trionfalmente alla rinascita della fede, mette in luce che il popolo russo è veramente cristiano e porta prove di ogni tipo sull’autenticità delle reliquie stesse; la seconda è tristemente ironica e disillusa – “lo stato fa quello che vuole e il disagio della gente cresce sempre più ma ci mettono davanti fenomeni religiosi di massa (non di popolo!) e di grande risonanza per narcotizzarci…ma hanno un sapore più magico che sacro”; la terza è più ovvia, semplicemente dissacrante e derisoria.
Più leggo, più chiedo, più capisco che non ne arriverò mai a una. Ma intuisco anche che forse il punto non è questo, perché rimane un fatto che vale la pena guardare: centinaia di migliaia di persone, per lo più persone semplici, del popolo, si mettono in fila all’alba, fin dalle 5 del mattino, e stanno al gelo anche 6 o 7 ore per inchinarsi davanti ai doni dei magi. Perché? Di fatto perché hanno sentito la voce autorevole della Chiesa che, ri-ponendo come ogni anno al centro della vita del mondo il fatto del Natale, ha affermato l’autenticità di quei doni.
E la gente, semplicemente, si è mossa, andando a inginocchiarsi davanti a quel Fatto, come i magi – e i pastori – davanti al Bambino. Quello che di certo mi dice questo evento è che c’è un Fatto che si ri-pone sempre e che il cuore dell’uomo continua a gridare che il Mistero si riveli. L’epifania di Dio. E il bisogno che abbiamo del Suo manifestarsi, un bisogno che niente riesce ad annientare completamente.
“Si può vivere la fede senza averne la radice. La radice della fede è il senso religioso. Vale a dire il senso del Mistero da cui la nostra vita dipende, perché è in questo Mistero che tutti gli uomini sono come fratelli” commentava don Luigi Giussani riflettendo sulla partecipazione di Giovanni Paolo II alla giornata mondiale di preghiera di Assisi con i rappresentanti delle diverse Chiese e religioni nel 1986 – e qui, davanti al senso del Mistero che il popolo russo esprime in modo così massiccio, viene innanzitutto da ringraziare.
Ma il Patriarca Kirill ha detto anche altro, in occasione del Natale, e un messaggio in particolare l’ha rivolto espressamente ai cristiani d’occidente affermando che oggi in Europa “la tendenza generale della politica, l’azione delle élites è di carattere espressamente anticristiano, antireligioso” e che i cristiani d’occidente non sanno, al contrario dei russi, cosa significhi “vivere in una società senza Dio”. È un monito che ci viene rivolto da chi ne ha sperimentato direttamente “le terrificanti conseguenze”: “Lo vorrei gridare a tutto il mondo: Fermatevi! Noi sappiamo di che vita si tratta, voi non ve ne rendete ancora pienamente conto!”.
Premetto che io non possiedo gli strumenti per analizzare in modo critico il contenuto – ben più ampio – dei discorsi del Patriarca, e aggiungo che sul perché e il come si muova Kirill e sul rapporto tra la Chiesa ortodossa e lo stato russo di giudizi più o meno fondati è piena la rete. Ma queste parole, proprio così come sono state pronunciate, al mio cuore e alla mia ragione di cristiana europea trapiantata in Russia sono arrivate. E mi hanno ricordato le parole con cui don Giussani – nella già citata occasione – ci richiamò a “lottare contro l’ateismo della vita” – “un ateismo concreto, la vita come edonismo, […] che diventa sempre più grande e […] investe tutte le Chiese”. È “la lotta contro questa falsa soddisfazione” che “ci rende fratelli di tutti coloro che incontriamo” dettando il compito “terribile, tremendo, grande, potente, ma tenero” che realmente accomuna i cristiani: “rendere presente Cristo” per “liberare l’uomo dalla schiavitù del potere, […] l’abolizione nella nostra vita dell’ateismo militante pratico”.