Il XXI secolo sarà asiatico, ma per ora l’Oriente deve attendere. La Cina crescerà, ma meno di prima: il denaro facile che ha alimentato la sua industria è diventato un problema, la corruzione ha raggiunto livelli difficilmente tollerabili e la disuguaglianza fa dubitare sulla sostenibilità del sistema. I 50 uomini più ricchi del Parlamento cinese hanno un patrimonio cinque volte più alto dei 50 membri più abbienti del Congresso americano. Inoltre, il gigante comunista sta invecchiando prima di diventare ricco.

Sull’India continuano a pesare molte incertezze. La democrazia più grande del mondo potrebbe dare alle prossime elezioni la maggioranza a Narendra Modi. Il Paese, che è una sorta di Continente, sarebbe quindi in mano a un partito nazionalista che si è distinto per essere complice delle persecuzioni contro cristiani e musulmani.

L’Occidente, nonostante tutto, sembra tornato. Gli Stati Uniti creeranno oltre due milioni di posti di lavoro e cresceranno del 3%: la politica monetaria espansiva della Fed sta dando i suoi frutti. Lo Zio Sam non dipende più energeticamente dall’estero e per questo ha recuperato parte dell’orgoglio perduto. L’Eurozona, nonostante tutte le sue mancanze, vedrà crescere il Pil dell’1,2% e continua a essere una riserva di benessere e conoscenza.

Avevano ragione coloro che nello scorso decennio si erano detti contrari al relativismo multiculturale sostenendo che l’Occidente è superiore? È arrivato il momento di liberarci dal complesso che ci paralizza dalla decolonizzazione? Meglio non correre. Negli Stati Uniti e in Europa avanza una crisi politica che per alcuni somiglia a quella degli anni Trenta. Le elezioni di midterm mostreranno quanto è polarizzata la vita pubblica americana, mentre in Europa i partiti antisistema sono un’autentica minaccia per le votazioni riguardanti il Parlamento europeo.

I liberali (The Economist) sostengono che è una conseguenza della crisi economica e che non appena tornerà la crescita e non saranno richiesti sacrifici tutto tornerà alla normalità. Gli economisti non vogliono riconoscere che dietro la disaffezione verso la politica si cela una stanchezza esistenziale, una fatica della ragione che non trova motivi chiari per il vivere comune. Se la crisi ci ha insegnato qualcosa è che il libero mercato e una democrazia concepita in termini procedurali non sono una risposta sufficiente. Il Washington Consensus non basta.

Recuperare “l’orgoglio occidentale”, nei termini in cui lo ha fatto la destra dieci anni fa, è ingenuo. Il neo-conservatorismo, alimentato in gran parte da vecchi trotskisti, si basava su premesse ideologiche e forniva un quadro delle culture e delle civiltà semplicista, riduttivo. Le presentava, infatti, come sistemi perfetti e chiusi. Secondo questa concezione, l’Occidente era un concentrato di alcuni valori statici, un compendio di cristianesimo anonimo che era poco cristiano. Da qui la sua belligeranza con l’Islam e quelle guerre tanto nocive.

L’occidentalismo è nemico dell’autentico Occidente, figlio di Atene e Gerusalemme, educato dalla scuola di Roma. La cultura romana non è un mondo chiuso, possessore di certi principi superiori e inamovibili. È una cultura che deve cercare fuori da sé ciò che la definisce. Per questo è aperta e connotata dal seguire. Impara dalla Grecia e da Nazareth e ricrea ciò che ha appreso. Dipende sempre da una novità che ha le sue radici nel passato, ma non si aggrappa a una storia senza vita. L’autentica cultura occidentale non ha paura del meticciato: è il suo terreno di sperimentazione e verifica.

In questo senso si può dire che l’Occidente è cristiano, non perché sostenga alcuni valori che hanno perso la connessione con la vita che li ha generati e che ormai non toccano più nessuno. Essere autenticamente occidentali vuol dire avere esperienza del vecchio come del nuovo, l’esperienza dell’inizio come (re)inizio. E questa dinamica è quella che porta la fede, vissuta come un avvenimento. Solamente Quel giudeo di Galilea è sempre presente, solo Lui rende nuove tutte le cose, solo Lui è sempre aperto e sempre in relazione.