Cos’è la (vera) felicità?

Essere felici è soltanto avere un sistema politico-economico che funziona? Il caso della Danimarca viene esaminato da SALVATORE ABRUZZESE: ecco cosa è la vera felicità

La Danimarca è risultata essere, per il secondo anno consecutivo, il paese più felice del mondo: lo dice una statistica realizzata dalle Nazioni Unite in 156 paesi. Norvegia e Svezia occupano rispettivamente il secondo e il quinto posto; la Svizzera è terza e i Paesi Bassi sono al quarto posto. Ma cosa significa veramente?

Indagando in modo più approfondito si scopre come nei questionari somministrati in questo tipo di indagini non si parli tanto della felicità quanto della soddisfazione personale e della percezione di benessere. I danesi sono quindi i più soddisfatti riguardo al benessere che hanno raggiunto e al sistema sociale che hanno edificato: un recente referendum per la diminuzione delle tasse è stato da questi bocciato in quanto la maggioranza si è dichiarata favorevole al sistema attuale.

Come è noto l’alta qualità del sistema di protezione sociale danese non si fonda solo sulla professionalità degli operatori e sull’onestà degli amministratori. La Danimarca ha anche tasse molto elevate (più alte dell’Italia) e una chiusura pressoché totale all’immigrazione (le norme danesi sono le più dure d’Europa). Aumento delle entrate dirette e abbattimento dei costi di assistenza verso gli immigrati hanno condotto ad un bilanciamento dei conti a partire dal quale il sistema di protezione sociale può espandersi in modo consistente. 

Il consenso nei confronti di un tale sistema è plateale, ma perché parlare di “felicità” quando si tratta solo di soddisfazione civico-politica e di fiducia nelle istituzioni? È veramente l’unica forma di felicità possibile? A forza di ridurre la realtà solo a ciò che si può misurare e dimostrare empiricamente, la sociologia finisce spesso per edificare un’immagine mortificante dell’esistenza ed è su questa mortificazione che il cinismo dominante tesse le sue trame. 

Eppure la felicità esiste e ciascuno di noi l’ha provata in precisi istanti della propria esistenza: in quei giorni lieti nei quali ha condiviso una gioia piena con coloro che gli sono cari. Quando non è confusa con l’euforia, la felicità è una particolare relazione d’affetti nella quale la gioia per la condivisione di un obiettivo conseguito o di una situazione vissuta insieme è direttamente proporzionale all’affetto che nutriamo per gli altri che, in quel momento, la condividono con noi. Per questo quanti non sono capaci di vivere la dimensione affettiva non conoscono nessuna felicità al di là della semplice euforia e vivono in un vero e proprio “cono d’ombra”.

La felicità ha quindi una precisa dimensione relazionale e solo una sociologia che indaghi su di una tale dimensione può essere l’unica in grado di analizzarla. Cercarla con gli strumenti tradizionali, interrogando i singoli individui sulle soddisfazioni che ottengono e non studiando le relazioni significative che questi intrattengono gli uni con gli altri, porta a scoprire solo i livelli di soddisfazione per il benessere conseguito: ma è un’altra graduatoria, un altro universo mentale.

Fiducia nelle istituzioni e nel proprio prossimo, soddisfazione sul proprio lavoro e sui livelli di tempo libero, possono costituire le premesse per una vita serena, ma non hanno molto a vedere con la felicità. Concernono il benessere del singolo, non le sue relazioni significative con gli altri e non dicono nulla sulla gioia che questi può effettivamente provare. 

Scambiare il benessere per la felicità è un’operazione culturale non priva di conseguenze ed è al cuore della modernità come costruzione culturale, cioè come concezione dell’uomo e dell’universo sociale. Il progetto moderno di emancipazione individuale e di realizzazione personale vede gli altri solo nei ruoli di comprimari, coadiuvanti, rete di “capitale sociale”, retrovia di servizi e di legami. Il soggetto sembra non avere relazioni se non in forma sussidiaria, come appendice alle proprie necessità. Per una tale strada la felicità è semplicemente introvabile.

In realtà, se la felicità è un’esperienza relazionale gli altri significativi sono determinanti. Sono proprio le relazioni con gli altri, la loro significatività, il peso ed il ruolo di queste relazioni nella nostra esistenza a rivelarsi decisive per la nostra felicità. Scoprire questa lieta dipendenza, questo legame essenziale è il percorso di crescita che porta ciascuno alla maturità. Ma di questo le statistiche non parlano.

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