Scrivo dalla mia Liguria. Quella che emerge dalla pioggia di questi giorni è una cartolina dell’Italia e della sua società profondamente variegata e in rapido mutamento. Negli ultimi dieci giorni sono tornati alla triste ribalta gli “angeli del fango” che, a Genova come in altre città colpite dal maltempo, hanno fatto in modo che – attraverso una semplice e umanissima solidarietà verso gli alluvionati – il disgusto dei cittadini per una politica amministrativa miope e idiota non diventasse seme di un malcontento sociale che avrebbe potuto, questa volta, spingersi fino alla rivolta e alla violenza.
In altre stanze, frattanto, si consumava la lotta per la riforma del mercato del lavoro in cui le vecchie contrapposizioni ideologiche dei primi anni duemila scricchiolavano sotto l’onda d’urto di un governo, di sinistra, deciso ad abbattere i tabù della sua stessa storia in nome della concreta possibilità di incentivare le aziende a offrire regolari contratti di lavoro ai più e ai meno giovani.
Ma nel nostro paese non c’è stato solo questo: il Sinodo straordinario sulla famiglia, voluto da papa Francesco, ha animato ancora una volta il dibattito in seno al mondo cattolico italiano che oscilla tra aspre contrapposizioni e gesti pubblici.
Non sto e non voglio entrare nel merito dei singoli argomenti, ma desidero sollevare una semplice preoccupazione che mi tormenta da quando – qualche giorno fa – ho chiacchierato lungamente con una classe di miei studenti sulla loro opera di aiuto agli alluvionati genovesi, chiacchierata che mi ha aperto una domanda grande sulla realtà e sull’educazione. Infatti, per ognuna delle situazioni poc’anzi descritte, si parla di gente che “sta di fronte alla realtà”, che va dentro “le cose concrete” e risponde alle provocazioni della vita con gesti inequivocabili, con dei fatti. Ma, e qui divento volutamente provocatorio, siamo sicuri che la realtà sia l’alluvione, il lavoro, la famiglia, l’amore? Siamo davvero sicuri che queste cose esistano e che il nostro compito di uomini sia rispondervi come vi stiamo rispondendo?
Secondo me queste cose non esistono. Nei miei alunni, come in chi cerca lavoro e in chi vuole difendere la famiglia e altri tipi di legami, ciò che esiste è il desiderio dell’Io. I miei studenti desiderano solo essere utili, dare una mano a chi ha perso tutto. Le Sentinelle desiderano la verità sull’amore e sulla famiglia. I lavoratori cercano giustizia, i movimenti Lgbt vogliono che sia riconosciuto dallo stato il loro desiderio di amore. E anche il Papa, che non è poco, ha convocato un Sinodo straordinario per rispondere ai desideri dell’uomo e al desiderio del cuore di Dio. Ciò che nella realtà esiste non sono le emergenze o le provocazioni storiche, ma è il desiderio. E’ dinnanzi a questo desiderio che tutti abbiamo bisogno di stare. Altrimenti spaleremo il fango, ma – come diceva una mia alunna – “alla sera non porteremo via il sacchetto della differenziata”.
Oppure veglieremo in piedi per la famiglia e, tornando a casa, non sentiremo il disagio di nostro figlio o la tristezza di nostra moglie. Faremo leggi buone, ma continueremo a lavorare per guadagnare e non per maturare umanamente, avremo i “tanto desiderati” matrimoni gay, ma continueremo a piangere perché non sappiamo amare.
Io vedo che nella società s’avanza uno strano modello educativo che punta a reagire alle situazioni con rivendicazioni o atti di eroismo piuttosto che a stare di fronte ai desideri che le circostanze fanno emergere. Si può essere buoni, si può essere giusti, saggi, misericordiosi, ma ci si può dimenticare di essere uomini. Brecht diceva: “Benedetto il mondo che non ha bisogno di eroi”. Ecco, a me sembra che tutto il nostro percorso educativo collettivo abbia questo limite: o punta a crescere degli anonimi borghesi o punta ad alimentare degli “smaniosi eroi” che, quando scoppia un’alluvione o una battaglia culturale, sono felici come quando esplode una festa. Salvo poi tornare alle proprie case con tanti fatti da raccontare, ma con nessuna esperienza.
Ci tengo a dire che quello che hanno fatto gli “Angeli” è grandioso, che i lavoratori fanno bene a incalzare l’autorità politica su decisioni fondamentali per la loro esistenza, e che capisco perfino il desiderio di quanti – nel mondo Lgbt – chiedono di poter vivere con libertà quello che per un cattolico è un oggettivo disordine. Ma detto questo, passano le alluvioni, i Sinodi, le riforme e le leggi, e noi siamo sempre fermi. Sempre uguali a quelli di ieri, mai smossi fino nel fondo del nostro Io dalla realtà stessa. Tutto questo accade perché noi riduciamo la realtà, le circostanze, all’apparenza e non abbiamo la disponibilità e l’educazione a guardare che cosa – realmente – le circostanze fanno emergere in noi stessi, il desiderio che “come una torre in campo aperto” sta e chiede risposta.
Benedetto XVI stette così tanto di fronte al suo desiderio da arrivare a dimettersi, a fare una scelta vera dentro il reale. Noi, che spaliamo, parliamo, litighiamo e rivendichiamo, non abbiamo ancora neppure scelto di rifarci davvero il letto al mattino. E questo pone a tutti, nella sua sconcertante drammaticità, la vera questione dei nostri giorni, la questione educativa.