Ci sono religioni, il buddismo e l’induismo, che non si interessano affatto dello stato, pur avendo creato grandi civiltà; altre, in primo luogo l’islam, fanno coincidere la religioni con lo stato e con le sue leggi e fanno della religione uno strumento di governo, a cui tutti devono sottomettersi nei casi più estremi con la forza. 

E’ quello che oggi accade sotto i nostri occhi. Il cristianesimo è lontano da questi due estremi; riconosce allo stato la sua autonomia e nello stesso tempo rivendica per la Chiesa libertà di espressione e di presenza non con la pretesa di risolvere i problemi o di fare concorrenza allo stato ma per orientare l’uomo alla soluzione dei problemi. “Buoni cristiani e onesti cittadini”, così don Bosco riassumeva il suo metodo educativo. Come cittadini dello stato e membri della Chiesa noi abbiamo due patrie, obbediamo all’autorità di Dio e a quella di Cesare. 

Fin dai i primi tempi i cristiani sono stati esortati ad obbedire all’autorità dello stato (pensiamo come san Paolo invitava gli schiavi ad obbedire ai padroni e invitava i padroni a vedere negli schiavi dei figli di Dio). 

I problemi sono sorti quando lo stato è uscito dai suoi ambiti e ha preteso di essere stato etico, di entrare nel campo della religione e della morale dettando leggi come la facoltà di uccidere i neonati con l’aborto, riconoscere titolo legale alle unioni omosessuali, stabilire che si possa porre fine alla vita con l’eutanasia etc. A questo punto viene da chiedersi: le parole di Gesù, date e Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio, sono da intendersi come se Cristo indicasse due sovranità a cui essere sottomessi? Lo abbiamo chiesto al prof. Marcello Croce, docente di filosofia all’istituto sant’Anna di Torino: 

Il passo famoso del Vangelo di Matteo richiama un problema che oggi, a mio modo d’intendere, è aperto più che mai, e che noi conosciamo come secolarismo. Cristo distingue tra Cesare e Dio, ma non dice che Cesare, cioè l’ordine civile della comunità, è separato dalla sovranità di Dio. Non dice nemmeno che la Chiesa è Dio. La Chiesa è l’annuncio della “nuova Creazione” di cui Cristo, l’uomo-Dio, è la “prima creatura”. Dall’inizio della “nuova Creazione” la Chiesa “rappresenta” questo ritorno dell’umanità a Dio attraverso Cristo, cioè la sua presenza viva qui e ora. A mio avviso il problema legato a questo passo non è tanto la distinzione degli ambiti (“diritti”) dello Stato, da una parte, e dell’istituzione ecclesiale dall’altra. Io credo che distinguendo tra Cesare e Dio il passo di Matteo indichi precisamente il riconoscimento dell’autorità di Cesare. Non si tratta però di una “spartizione” della sovranità, come se ci fossero due sovranità – quella di Cesare e quella di Dio. La sovranità non può essere che una sola, quella di Dio. L’autorità di Cesare è una “rappresentanza”. 

Più precisamente, la distinzione indica di che natura sia la rappresentanza di Cesare, poiché anche l’ordine civile delle comunità umane (“Cesare”) è entrato a far parte della “nuova creazione”: esso deve testimoniare e garantire la giustizia nelle sue espressioni giuridiche, politiche, sociali. Anche la giustizia è chiamata a far parte del Regno, e il suo nome è pace. Nel nostro tempo si è imposto il problema morale e civile della libertà. La libertà tuttavia rientra nell’ambito della giustizia. Le società secolarizzate del nostro tempo separano la libertà dalla giustizia, il punto è questo. Si chiede allo Stato di garantire i “diritti” di una libertà individuale che si pone come “valore originario”. 

Questo è il percorso che la Chiesa sta indicando nei giorni del sinodo. Senza prendere di petto e senza condannare i nuovi diritti, insegna una via più umana: guardare in faccia alle persone che vengono attratte dalla misericordia, dalla carità che si usa verso di loro. Dopo la risposta circa il tributo a Cesare e dopo aver chiuso la bocca ai sadducei Gesù risponde ai farisei annunciando loro i due comandamenti più grandi: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: amerai il tuo prossimo come te stesso” (Mt 22,37).

Ascoltandolo la gente respirava libertà e giustizia e imparava ad obbedire e a servire distinguendo tra Dio e Cesare.