Alla mezzanotte di oggi, 31 ottobre 2014, cala dunque il sipario su Mare Nostrum. Uno stop molto repentino, che mette termine ad un’operazione messa in campo un anno fa all’indomani del drammatico naufragio al largo di Lampedusa che causò più di 360 morti. In questi 12 mesi Mare Nostrum ha portato in salvo circa 150mila migranti, grazie all’intervento della nostra Marina militare, impegnata con mille uomini, con la nave anfibia san Giorgio, due corvette e due pattugliatori, oltre a molti velivoli per i controlli del mare.
È stata un’operazione esemplare per molti motivi. Il motivo principale sta ovviamente nelle vite che ha strappato a più che probabili naufragi. Ma Mare Nostrum è anche figlia di una politica che per una volta non ha esitato a decidere, anche prendendosi di rischi a livello delle reazioni dell’opinione pubblica (era stato il governo Letta a vararla, il 18 ottobre scorso). Mare Nostrum ha anche indicato quale può essere la funzione civile e umanitaria di un apparato militare. Più volte abbiamo visto marinai commuoversi al cospetto dei poveri naufraghi portati in salvo. Sulle navi si sono imbarcati anche decine di medici e di ostetriche volontari, organizzati dalla Ong Francesca Rava, dando anche sempre uno bellissimo spettacolo di umanità e di civiltà.
Insomma sono tanti i motivi per guardare anche con un pizzico di orgoglio a questa esperienza: tanto più che l’Italia se n’è fatta carico (anche dal punto di vista economico. Il costo è stato di 9 milioni mensili) senza poter contare su nessun altro partner europeo, per quanto il problema non fosse evidentemente solo italiano.
Ora in modo un po’ repentino Mare Nostrum va in archivio, perché subentra un’operazione targata questa volta Europa e ribattezzata Triton. Subentra, ma non sostituisce, in quanto la missione che l’agenzia europea per la difesa delle frontiere, Frontex, ha assegnato a Triton è molto più limitata rispetto a quella di Mare Nostrum. Il pattugliamento non deve andare oltre le 30 miglia dalle coste, e non si parla più, come invece stava scritto nelle finalità della missione italiana, «di garantire la salvaguardia della vita in mare». Anche i costi ovviamente sono molto diversi, in quanto Triton ha un budget di 2,9 milioni al mese, un terzo quindi di Mare Nostrum.
Davanti a questo scenario si aprono dunque un po’ di domande. La prima: che cosa accadrà d’ora in poi oltre quella linea a 30 miglia dalle coste? Questione drammatica, perché gran parte dei salvataggi in questi mesi sono stati fatti in mare aperto o addirittura non lontano dalle coste libiche. Certamente l’arrivo dell’inverno è destinato a diradare i tentativi di traversata e quindi a diminuire i rischi, ma il problema comunque si pone.
La seconda domanda riguarda la decisione del governo di sospendere l’operazione, senza prospettare almeno una fase di transizione, come del resto aveva auspicato il comandante in capo della squadra navale responsabile di Mare Nostrum, l’ammiraglio Filippo Maria Foffi. Invece ha prevalso un improvviso cambio di prospettiva, in particolare da parte del ministro Alfano che sino a qualche settimane fa era stato tra i più convinti difensori dell’operazione. Tra l’altro sulla decisione non c’è stata unanimità neppure all’interno del ministero di cui Alfano è titolare, visto che il sottosegretario Manzione ha sostenuto una linea diversa, di una chiusura progressiva di Mare Nostrum.
La terza domanda è quella che riguarda l’Europa: la scelta di una missione per il controllo delle frontiere senza farsi carico delle emergenze umanitarie è una scelta di civiltà. Di cattiva civiltà, naturalmente. E ancora una volta scopre il volto di un continente un po’ pilatesco, incapace di darsi una visione, preoccupato soltanto delle regole. E alla fine prigioniero delle proprie paure.