«La mia domanda era la più semplice che ci possa essere, quella che affiora nell’animo di qualsiasi creatura umana: perché vivere? perché desiderare?». È l’interrogativo di un uomo, Lev Tolstoj, ma anche l’interrogativo di tutta quanta l’umanità, da Dante al «pastore errante» delle steppe asiatiche evocato da Leopardi. Il convegno proposto quest’anno dalla Fondazione Russia Cristiana, «Tolstoj e il suo tempo. Attualità di un dibattito: di che cosa vivono gli uomini?», che si svolge in questi giorni all’Università Cattolica di Milano tenta una risposta, misurandosi con una delle figure che più hanno fatto e fanno discutere, e che in ogni caso raramente lasciano indifferenti, suscitando grandi amori oppure forti repulsioni.
Nella gigantesca personalità di Tolstoj si intrecciano innumerevoli nodi della tradizione cristiana e illuminista, razionalista e anarchica, messianica e pauperistica (e l’elenco potrebbe continuare a lungo) che hanno segnato gli ultimi secoli della nostra civiltà; con ardite aperture a culture e civiltà diverse, con contraddizioni enormi che giustificano le opposte letture di Tolstoj, della sua opera letteraria e pubblicistica, della sua posizione esistenziale e religiosa.
Racchiudere in due giornate di convegno questo magma sarebbe pura presunzione, se non ci avesse guidato fin dall’inizio l’idea di raccogliere la sfida di Papa Francesco a scandagliare la «periferia esistenziale» dell’umanità che ci costituisce, per recuperare la scintilla di verità, di bellezza, di amore che rimette in moto l’umano. E così è nata addirittura l’idea di coinvolgere nell’avventura alcune scuole superiori della Lombardia e un gruppo di universitari, perché l’interrogativo potesse diventare oggetto di dialogo e confronto anche in queste sedi, per insegnanti e studenti. E proprio gli studenti delle superiori saranno protagonisti del convegno, accanto a esperti di livello internazionale, proponendo delle proprie relazioni ed elaborati su opere e tematiche tolstoiane. Il convegno così concepito è infatti il punto d’arrivo di un lavoro seminariale avviato nel febbraio scorso, e che ha avuto un primo esito nella mostra «Tolstoj: il grido e le risposte» realizzata al Meeting di Rimini da Russia Cristiana insieme a degli studenti universitari. La stessa mostra, tra l’altro, sarà visitabile nei cortili della Cattolica.
«L’esperienza di un testo letterario prova che la letteratura è fatta da incontri reali, immaginati, ideali, possibili fra uomini, autori e personaggi… È il dialogo nel tempo, lungo i secoli, fra uomini che, avendo a cuore la propria umanità, non hanno mai smesso di porsi le grandi domande esistenziali, che sono anche le nostre, dei giovani del XXI secolo». È uno dei tanti passaggi che mi sono segnata, leggendo nei giorni scorsi i testi inviatici dagli studenti in vista del Convegno.
Proponendo ai giovani questo interrogativo, semplicemente per il fatto che mi appassionava, sono rimasta stupita dal cammino fatto e dai risultati ottenuti, ma soprattutto mi sono resa un po’ più conto di che cosa significhi educare: perché in questo cammino, la prima ad essere educata sono stata io. Educata da Tolstoj, che mi vieta di accontentarmi di parole edificanti, quando si parla dei grandi temi della vita – nascita, morte, suicidio, verità, libertà. Educata dai ragazzi a cui ho illustrato il contesto e la personalità di Tolstoj, dalla serietà e profondità con cui quanto ci siamo detti è riecheggiato nel loro cuore. Un cammino fatto insieme, in cui a tema è il desiderio del cuore, e gli strumenti vengono reperiti e condivisi con semplicità, franchezza, gratitudine, proprio perché l’opera è comune. Non esiste cultura all’infuori di questa domanda, di questo struggimento per una Bellezza che è sempre un «varco», un «foro attraverso cui fa capolino qualcosa di più alto», come scrive nel suo Diario l’irriducibile cercatore di Dio, Tolstoj.