A Strasburgo Papa Francesco è andato a sollecitare un’Europa in difesa, logorata nella lotta alle urgenze dei bilanci nazionali in dissesto e sommersa dalle proteste, per riportarla all’altezza delle ambizioni che l’hanno costituita e del passato radicato nelle sue radici cristiane, delle quali è abituata a dimenticarsi. L’Europa, per Francesco, ha “un’anima buona” ma occorre recuperarla.
L’Europa appare infatti “invecchiata e compressa” dinanzi ad un contesto che la guarda “spesso con distacco, diffidenza e talvolta con sospetto”. Quest’Europa ha avuto una missione e ce l’ha ancora: deve ritornare ai propri padri fondatori ed essere all’altezza della loro speranza e di un progetto che si fondava sulla fiducia nell’uomo in quanto “persona dotata di una dignità trascendente”. Una dignità dimenticata, sia a causa delle povertà e delle libertà mancate alle quali molti sono esposti, sia a causa di una rivendicazione dei diritti individuali che ignora il contesto sociale, i diritti degli altri, il bene comune. L’uomo perde la propria dignità quando si rifiuta di riconoscere la sua capacità innata di distinguere il bene dal male, quella “bussola iscritta nei nostri cuori e che Dio ha impresso nell’universo creato”. L’uomo perde la propria dignità quando si coglie come un assoluto e non come un essere relazionale, cioè una realtà che prende vita e si realizza non da solo bensì nella relazione con gli altri.
La povertà prende allora la forma dei legami mancati, visibili nella solitudine degli anziani, ma anche nei giovani “privi dei punti di riferimento”, negli “occhi smarriti” degli emigranti. La crisi non fa che aggiungere a questa solitudine la sfiducia verso le stesse istituzioni europee ritenute distanti. Le urgenze economiche che dettano l’agenda tolgono agli stessi deputati l’impegno di una “missione grande”, giudicata di fatto “inutile”. Questa missione che Papa Francesco addita è quella di “prendersi cura della fragilità dei popoli e delle persone”. È proprio un tale “prendersi cura” che è naturalmente mancato, individuando al posto delle fragilità dei singoli, delle famiglie e dei gruppi, solo delle reti di interesse e dei gruppi di pressione.
Riportandoci alla “fragilità dei popoli e delle persone” Papa Bergoglio ci riconduce al cuore della questione antropologica: “Un’Europa che non è più capace di aprirsi alla dimensione trascendente della vita è un’Europa che lentamente rischia di perdere la propria anima e anche quello ‘spirito umanistico’ che pure ama e difende”. Si tratta di “fare tesoro delle proprie radici religiose” perché, citando Benedetto XVI, “è l’oblio di Dio e non la sua glorificazione a generare violenza”. Qualsiasi recupero della specificità culturale dell’Europa transita necessariamente nel recupero delle proprie radici culturali, ma anche religiose.
L’Europa è come il pioppo descritto da Clemente Rebora, “animata da un insaziabile desiderio di conoscenza, di sviluppo, di progresso, di pace e di unità” che la spinge verso l’alto, ma anche bisognosa delle radici che le danno la linfa. “L’Europa deve riflettere se il suo immenso patrimonio umano, artistico, tecnico, sociale, politico, economico e religioso è un semplice retaggio museale del passato, oppure se è ancora capace di ispirare la cultura e di dischiudere i suoi tesori all’umanità intera”.
Di fatto Papa Francesco ha occupato a Strasburgo lo spazio degli ideali e dei progetti, uno spazio rimasto vuoto e sempre più evitato. Ha rivendicato per l’Europa una missione per la quale servono “memoria, coraggio, sana e umana utopia”, dove il mancato recupero delle radici ideali la porta ad inaridirsi, lasciando che le fragilità si spezzino, le povertà aumentino, le solitudini e gli smarrimenti si moltiplichino. Solo il recupero di un tale percorso può restituire all’Europa l’autorevolezza che essa stessa si è tolta, proprio nel momento in cui ha ignorato quella dignità trascendente dell’uomo che deve invece assicurare e proteggere.