L’Avvento di un nuovo anno liturgico ci fa riflettere sulla dimensione del tempo che esercita sempre su di noi un grande fascino. Tutti ci lamentiamo del ritmo frenetico che assumono le nostre giornate. Quante volte diciamo: “ci vorrebbe una giornata di 40 ore”. E quante volte rimaniamo sorpresi dalla noia di vivere, la noia: come una polvere che si deposita sugli oggetti e sulle persone, una polvere impalpabile, quasi invisibile, che pian piano muta il colore delle cose e le rende tutte ugualmente grigie (Bernanos). Poniamoci questa domanda: le nostre giornate così frenetiche finiscono nella polvere del tempo che passa o, come diceva Ada Negri, su ogni istante grava il peso dell’eterno?
Il tempo è il crocevia tra l’essere e il nulla. Vivo trascinato da una mediocrità cordiale o cammino verso Uno che mi aspetta e ha tempo per me? A pensarci bene la nostra generazione frettolosa, ansiosa che riempie le anticamere di psicologi e psichiatri, che vive di telefonini, whatsapp, di messaggi, alla fine ha tempo per tutto, meno che per Dio. A questa nostra generazione la Chiesa ha una buona notizia da dare: Dio ha tempo per noi! Dio ci dona il suo tempo.
Diceva Benedetto XVI all’Angelus del 30 novembre 2008: “Questa è la prima cosa che l’inizio di un anno liturgico ci fa riscoprire con meraviglia sempre nuova. Sì, Dio ci dona il suo tempo perché è entrato nella storia per aprirla all’eterno”. In questa prospettiva il tempo è un segno dell’amore di Dio, un dono che l’uomo è in grado di valorizzare o sciupare, di cogliere nel suo significato o di trascurare con ottusa superficialità. Il tempo dell’avvento celebra la venuta di Dio; ci invita a risvegliare l’attesa dell’invito glorioso di Cristo, quindi, avvicinandosi il Natale, ci chiama ad accogliere il Verbo fatto uomo per la nostra salvezza.
Ma il Signore viene continuamente ogni istante nella nostra vita, per questo ci dice: “Vegliate”. Tutti siamo invitati ad essere come le sentinelle che attendono l’alba, ad attendere come l’hanno atteso i profeti, come l’ha atteso la Madonna durante la sua gravidanza.
Rileggiamo in questi giorni il racconto di Dino Buzzati, Uno ci aspetta. Dio non è rimasto nella sua reggia ad attenderci. Scrive Sigrid Undset: “egli si è fatto uomo e ha deposto la sua onnipotenza sull’uscio del mondo degli uomini (…) L’onnipotenza che regge il cosmo mendica tra folla delle anime umane, chiedendo come elemosina di poter dare, di poter spartire le ricchezze misteriose del proprio essere”.
Quando il Mistero sceglie di deporre la sua onnipotenza per vestire i panni di un mendicante, di vivere in una grotta, di essere una presenza presente, invita la nostra libertà ad uscire allo scoperto e a prendere posizione davanti a questo avvenimento.
Come diceva Kirkegaard: “Che un uomo abbia detto io sono Dio richiede una presa di posizione personale, che egli sia o non sia esistito è la decisone più grande dell’esistenza. Dio è venuto a cercarmi perché la mia speranza non si rattrappisca, si accosta come un mendicante per ridestare il mio cuore chiedendo come elemosina di poter spartire con noi la ricchezza del suo cuore”.
Questo è lo struggimento supremo di Cristo. Nella canzone di Vasco Rossi “Dannate nuvole” la vita è descritta come un cammino incerto su una realtà che non offre alcun appoggio sicuro, non caso ripete per molte volte “chissà perché?”. Diceva Dostoievski: “Se gli uomini venissero privati dell’infinitamente grande non potrebbero più vivere e morirebbero in preda alla disperazione”.