La Spagna vive una situazione simile a quella dell’Italia degli anni Novanta, quando ci fu la fine della Prima repubblica. Sono tempi come quelli di Mani pulite, che ha fatto uscire di scena il sistema partitico nato dopo la Seconda guerra mondiale. Con una differenza: in Italia fu un’implosione, in gran misura indotta dall’alto, da giudici che andarono oltre le loro competenze e il cui obiettivo era distruggere una democrazia con ampia base popolare; quel che sta accadendo negli ultimi mesi in Spagna, invece, non ha nulla a che fare con magistrati ossessionati dal voler scrivere la storia. Anzi, si potrebbe quasi dire che stanno facendo un lavoro lento e ragionevole. Ci sono, questo sì, media irresponsabili, ma quel che predomina è una comprensibile messa in discussione del sistema dei partiti e dei sindacati, a causa di una corruzione che scandalizza gli elettori e li allontana dalla vita comune.
Podemos, la formazione antisistema nata alle elezioni europee, è in cima alle intenzioni di voto (27%). Il suo leader, Pablo Iglesias, è ai massimi di popolarità. D’altra parte molti di coloro che finora hanno votato socialisti e popolari hanno detto che non lo faranno più. I socialisti sono la seconda forza politica, ma continuano a perdere terreno. Il Partido popular è al collasso ed è al terzo posto. Il pericolo è evidente, dato che la maggioranza di coloro che voterebbe Podemos riconosce che la formazione di Iglesias è incapace di risolvere i problemi del Paese. Stiamo quindi parlando di un voto di protesta. La cosa peggiore è che la classe politica, in grave crisi, non si accorge che le parole non servono a nulla: la frattura si è ormai consumata.
Si dà ascolto, questo sì, ai commentatori che parlano della necessità di recuperare un comportamento esemplare nella vita pubblica. Ma c’è qualche dubbio sul fatto che questa chiamata alla “rigenerazione” possa funzionare. Il mondo laico si trova ad aver a che fare con il peggiore dei “prodotti” del moralismo cattolico spagnolo: l’intellettualismo etico che pensa che la ripetizione di certi principi di retto comportamento sia sufficiente a risolvere i problemi.
Occorre più realismo. La legge, la legge morale, non salva. Ci vuole la grazia. Che nessuno si innervosisca: non stiamo proponendo di instaurare una teocrazia. Ma di riconquistare, questo sì, quella cultura pre-politica che la tradizione comunista, liberale e cattolica portarono come contributo alla Transizione, per far rendere possibile quel che le norme non possono generare: la responsabilità in ambito pubblico.
Bisogna recuperare l’esperienza di quella vibrazione per l’ideale che si esprime attraverso la politica. Quel che non hanno saputo trasmettere i nostri politici. E questo è possibile solo se c’è un rapporto serio tra la vita sociale e le istituzioni. Perché una democrazia funzioni serve uno Stato che lavori in favore della gente, un mercato efficiente e un Terzo settore protagonista. Di quest’ultimo ci siamo fin troppo dimenticati. Eppure potrebbe introdurre un valore nuovo nell’assegnazione dei contratti pubblici.
Occorre inoltre urgentemente una riforma elettorale. Nella Transizione sono nati alcuni partiti politici forti, perché la situazione lo richiedeva. Questo modello negli ultimi anni ha generato organizzazioni autoreferenziali in cui è più facile che si annidi la corruzione. Bisogna esplorare strade per riconnettere partiti e società. Anche il ricambio generazionale è importante. Gli attuali leader non dovrebbero essere candidati alle prossime elezioni. La monarchia è riuscita a diventare in pochi mesi l’istituzione più importante: Juan Carlos ha chiesto scusa e ha abdicato, e Felipe VI ha saputo inaugurare una nuova epoca con parole mai usate prima.
È logico che ci sia gente infuriata. Ma non sarebbe umana una reazione che aumentasse anziché rompere questa spirale di rabbia. Il potere si corrompe quando si allontana dalla persona, quando non è in funzione del desiderio di vita comune e pacifica, del desiderio di bene e felicità che muove la storia, quando strumentalizza questo desiderio per i propri fini. Per questo utilizzare il piccolo potere che abbiamo nelle nostre mani, il potere della persona, per lamentarci o allontanarci dalla vita democratica non risolve nulla.
È molto più interessante e più efficace dei richiami etici lasciar esprimere questo desiderio, sorprenderci del valore dell’altro, amare la politica e la democrazia come forme di carità.