NEW YORK — Liberali e Conservatori. Dei mille modi in cui si può etichettare il mondo e la sua gente (sapete, come quando si dice “il mondo si divide tra chi fa questo e chi fa quello”), queste due categorie sembrano costituire la rappresentazione più adeguata della società americana. Dal modo di giocare a football, all’appartenenza ad una fede religiosa, alla politica.
Ieri alle elezioni di Midterm hanno vinto i “Conservatori”. Chi è che ha vinto? “Conservatori”. Come avrebbe detto il mio amico Lorenzo Albacete a chi aveva problemi con l’uso di certi termini apparentemente troppo complessi o retorici, potremmo anche chiamarli “carciofi” o “libellule”; basta sapere cosa si intenda.
Eccoci qua allora. Hanno vinto i Conservatori. Cioè? Cioè hanno vinto i Repubblicani, hanno conquistato la maggioranza del Senato, hanno piazzato Governatori anche in quelle che erano roccaforti di Obama, come Maryland, Massachusetts, Illinois. Tutti si aspettavano una vittoria del GOP (“Grand Old Party”), ma i risultati sono andati ben oltre le aspettative (dei Repubblicani) e i timori (dei Democratici). Obama s’è rimediato una sfilza di sculacciate da far paura. Cerchiamo però di capire chi abbia vinto e perché. Ma cos’è un “Conservative“?
Nel 2004, mentre seguivo il testa a testa tra George Bush e John Kerry, il pensiero che mi teneva compagnia era che, visto l’andazzo dei risultati, magari avrebbe anche potuto vincere Bush (in verità non me l’aspettavo), ma in qualche modo il destino dei “Conservatori” era segnato. Tutto il mondo — questa era la mia percezione — si muove ineluttabilmente verso “il nuovo”. In tutti i campi della conoscenza umana si procede verso il “nuovo”. Ci si libera del “vecchio” e ci si spalanca verso nuovi orizzonti. Vista così, una posizione conservatrice appare come una resistenza irragionevole e ottusa al bisogno di cambiamento. Perdente. Non sentiamo forse tutti l’urgenza del cambiamento?
La presidenza di Obama è uno dei segni più evidenti di questo cammino. La sua elezione in primis e poi tante sue mosse tese a modificare valori e dinamiche della società americana, dalla ricerca sulle staminali alla riforma del sistema sanitario, dai matrimoni gay al ritiro delle truppe da Afghanistan e Iraq. Tutti tentativi di “liberarsi” di vecchi modi di pensarsi ed essere.
Eppure ieri i Repubblicani hanno vinto. Hanno vinto pur non avendo assolutamente ben chiaro neppure loro che cos’è che vogliono “conservare”. I contenuti — in quella che passerà agli annali come la campagna di midterm in cui sono stati investiti più soldi — sono stati poverissimi.
I Democratici non sono riusciti a mantenere le loro promesse, i Repubblicani non hanno neanche saputo farne, se non di estremamente vaghe e generiche. Se posso fare un paragone militaresco (viste le vite umane e i soldi che mettiamo nelle guerre ci può stare) è come se i “Liberals” avessero tentato di lanciare il paese all’assalto del nemico (“il vecchio”), ed i “Conservatives” si fossero arroccati dietro alle vecchie mura della cittadella tutti timorosi di essere travolti dal “nuovo”. Entrambi senza un piano, senza un progetto. In questa contrapposizione ieri la gente ha detto alla politica che c’è qualcosa nella cittadella, c’è qualcosa alla radice del proprio essere che non può essere spazzata via dal sacrosanto desiderio del “nuovo”.
Ma non siamo messi bene. Mancano i pionieri, i trail blazers, coloro che aprono nuove piste così che il villaggio, il punto di partenza, l’origine sia sempre presente nella grande avventura della scoperta del nuovo. Questo significa “tradizione”. E la nostra “tradizione” è fatta di “vita”, “libertà” e “ricerca della felicità”. E’ fatta di senso religioso.
Il nostro amico Lorenzo Albacete non amava distinguere tra “Conservatives” e “Liberals”. Amava i cuori che sapevano conservare il desiderio della libertà, il desiderio dell’Infinito.
E’ di questo che abbiamo bisogno.