Considerando il mondo in cui Dio ci ha dato di vivere in questi anni, può sembrare a volte che chi, come me, aderisce a una proposta culturale legata alla presenza cristiana, stia fra due grandi “‘minacce” che mettono in forse una presenza sociale o politica che contribuisce all’avventura di costruire il futuro.

Da una parte c’è il crescere continuo di una presenza islamica militante internazionale che vive anche con forti legami demografici qui in occidente. Dall’altra parte c’è il sempre più potente e intollerante progetto politico-sociale che vede la libertà umana compiuta in un’auto-definizione d’identità sessuale slegata d’ogni riferimento biologico o procreativo e che, perciò, tende a guardare alla struttura familiare con ostilità.

In realtà comincio a compiacermi per questa situazione. Mi appare sempre più bello il fatto di non poter combattere per nessuna nazione umana in sé, ne con nessun esercito alle spalle, ma con la semplicità e libertà dei figli di Dio. Più ci medito sopra, più queste circostanze mi appaiono come una grande opportunità di vivere per una missione invece che per un progetto. Di vivere protesi verso l’incontro con chi è decisamente “altro” invece che vivere cercando di difendere una eredità, per quanto amatissima. Mi sembra più bello il guardare all’altro con la speranza di poter incontrare le verità più splendide attraverso questo incontro, e perciò di condividere una scoperta nuova. Non è invece auspicabile cercare di convincere o obbligare l’altro a stare lontano o accettare quello che difendo. Sappiamo poi che la vittoria non sta, ne è mai stata, nelle nostre mani. Come agirà il nostro Salvatore in questa nuova fase della storia non lo so, ma desidero vederlo. 

Guardare al mondo in questi termini mi libera molto. Quanto più ci prego sopra, quanto meno ansia ho. E non solo: c’è anche la voglia di vivere per una vittoria già guadagnata dal Signore, anche se con dei contorni e volti tutti da scoprire. 

Tutto ciò mi porta a dire una parola su come educare. Mi tocca spesso parlare dell’educazione.  Insisto che la debolezza delle nostre proposte educative nasce dalla mancanza d’una coscienza paterna, del riferimento a una paternità. Mentre la figura materna è forte, bella e molto presente (anche se disprezzata da alcune delle ideologie del genere) nella coscienza di chi educa normalmente, non si può dire la stessa cosa per la figura paterna. Come conseguenze si parla spesso di come fare “star bene” chi viene educato, ma si fa difficoltà a dire e a chiedersi come mai ci sono nella vita queste persone da educare.

Perché si trovano qua? A quale scopo esistono? Per quale missione vivono? Senza queste domande — e senza le rispettive risposte — resta una educazione “difensiva”, tutta mirata a difendere chi viene educato da chi o che cosa può farlo star male, invece di prepararlo e allenarlo ad una grande, anche se faticosa, avventura.

Perciò, nonostante le tentazioni di reagire alle ostilità del mondo, sono grato di avere in mano non il potere di sconfiggere l’altro che odia quello che amo, ma l’invito del Signore ad andare verso l’altro che mi fa paura, andare avanti e scoprire il Signore che mi ha preceduto lì quando arrivo. Stando davanti al Signore, a Cristo il Re, domando innanzitutto la sua vittoria sulla mia, sulla nostra paura. Domando di poter riconoscere con entusiasmo la grande e avventurosa missione che ci sta mettendo davanti a queste minacce, grato di poter guadagnare un poco della gloria che appartiene alla Sua vittoria, già compiuta.