Darwin diceva che non è la più forte delle specie a sopravvivere, ma quella che si adatta meglio ai cambiamenti. Come sappiamo, in questo è consistito il vantaggio delle nostre piccole imprese, almeno in una prima fase della globalizzazione.
Ma ora che la crisi picchia duro e sembra andare oltre ogni più pessimistica previsione (secondo la Cgia di Mestre, tra il 2009 e i primi nove mesi del 2014 l’artigianato italiano ha perso oltre 91 mila imprese) tante più piccole aziende italiane temono questa volta di non farcela e si sentono chiamate a compiere un ulteriore passo per evitare il tracollo. Un nuovo passo, dunque, ma in quale direzione? Stando a ciò che chiedono i mercati mondiali emergenti, sempre più sensibili al Made in Italy, questo passo consisterebbe nel continuare a “fare gli italiani”, cioè ad offrire prodotti “belli e ben fatti”, innovativi e personalizzati, sapendo adeguare rapidamente l’offerta alla domanda.
La miniera del “saper fare” tramandato o comunicato per osmosi nel mondo della nostra impresa artigiana è – come diceva qualche tempo fa Stefano Micelli – “un acceleratore di innovazione di cui non si riesce nemmeno a immaginare la portata”. E ancora: “il lavoro artigiano è una delle cifre della cultura e dell’economia italiana; se si tornasse a scommettere su di esso, contaminandolo con i “nuovi saperi” tecnologici e aprendolo alla globalizzazione, l’Italia si ritroverebbe tra le mani un formidabile strumento di crescita e innovazione”.
Non si tratta dell’ennesima acritica esaltazione del “piccolo è bello” che finirebbe per arrecare più danni che benefici, benché si stia parlando di una realtà quantitativamente rilevante: su un totale di circa 5 milioni di imprese artigiane attive nell’Unione Europea, quasi un milione e mezzo sono italiane, costituendo il 35% delle imprese operanti nel nostro Paese (24,7 imprese ogni 1.000 abitanti) e formando circa il 18% delle esportazioni totali.
Si tratta di capire, invece, qual è l’anima di questa realtà che va salvaguardata, in qualunque nuovo assetto, organizzativo o dimensionale, sarà necessario per affrontare questa fase.
Esiste, nella nostra cultura, un modo di conoscere (e quindi di creare) che potremmo chiamare “realista”. Esso consiste nell’incontro tra un soggetto, che non rinuncia a giocare la curiosità, il desiderio di bellezza e costruttività di cui è costituito, e una realtà concepita come dono, non ridotta né a schemi preconcetti né alla sua percezione empirica e che contiene sempre una possibilità di buono, utile e bello. Questo atteggiamento conoscitivo è la premessa per mettere in atto quella attitudine al cambiamento che ha permesso al nostro Paese di superare tante crisi e di reinventare sempre nuove vie di sviluppo.
In questo è il successo, ogni anno crescente, dell’Artigiano in fiera, la grande mostra-mercato dedicata all’artigianato di qualità che si svolge in questi giorni a Milano.
L’Artigiano in fiera ha il grande merito di far incontrare la gente e gli artigiani: il desiderio indomito di bellezza, creatività, novità delle persone e la capacità degli artigiani di creare prodotti che soddisfino questi desideri. In una parola, è la persona al centro, con i suoi desideri e le sue capacità, la protagonista della nuova economia post finanziaria.