Cristiani, non soldati

La notizia degli abusi nelle torture da parte degli agenti della Cia riporta a galla il tema della guerra al terrore e della sua efficacia. Il commento di FERNANDO DE HARO

L’unico sollievo riguardo questa notizia è che è stata resa pubblica. La democrazia degli Stati Uniti funziona e per questo la settimana scorsa sono state rese note le conclusioni di un rapporto che il Senato ha elaborato per far conoscere i tanti abusi commessi in nome della guerra al terrore. I senatori ritengono che la Cia abbia ingannato Bush per agire al di là della legge e contrariamente ai diritti umani più elementari. Ma Dick Cheney, che era il suo vicepresidente, ha risposto che non bisogna criticare “i ragazzi dell’agenzia”, ma semmai premiarli con una medaglia.



Pardossi dello Zio Sam: mostra in fretta le sue vergogne in un processo di trasparenza non così comune ed è pronto a giustificare i peggior metodi per la lotta contro l’islamismo (repubblicani), l’esecuzione di Bin Laden senza processo, gli omicidi selettivi con i droni o le intercettazioni della Nsa (democratici).



C’è chi ritiene Bush Junior il Presidente con gli ideali più chiari della recente storia degli Usa. Ma in politica i mezzi contano quanto i fini. In ogni caso non è stata una questione che riguardava solo Bush o la Cia: ricordiamo il clima che si era creato nei mesi successivi all’attentato alle Torri Gemelle in tutto l’Occidente, quando quasi tutto sembrava lecito per arrivare a un obiettivo.

L’inizio di questo secolo è stato segnato da tre -ismi che mostrano fino a che punto viviamo sotto la pressione dell’ideologia. Prima del settembre 2001 vivevamo nella festa del relativismo (una libertà senza verità). L’attentato ci ha risvegliato con un zampata di fondamentalismo (verità senza libertà). E la via d’uscita ingegnata è stata quella del manicheismo, che vuole affermare valori e proteggere vite attraverso un attacco che ha trasformato il Medio Oriente in un teatro di guerra permanente.



In Spagna sappiamo bene che le scorciatoie nella lotta contro il terrore non fanno altro che alimentare la bestia. E ora ci troviamo a combattere non più l’islamismo dell’altra sponda del Mediterraneo, ma l’attrazione romantica che molti giovani europei sentono per la jihad. Lo scontro di civiltà è stato un orrore di enormi proporzioni che può trasformarsi nella tomba dei cristiani di Iraq, Siria e forse anche di Libano ed Egitto.

Il jihadismo, con le dovute differenze, è stato per questo inizio di XXI secolo ciò che fu il totalitarismo comunista nella seconda parte del XX secolo. La nuova ideologia è al passo coi tempi: non controlla Stati, non ha frontiere, adotta una forma liquida, dipende dalle persone e dalle reti. Ma ora che commemoriamo i 25 anni dalla caduta del Muro di Berlino possiamo ricordare tutta la pazienza, tutta la capacità di sacrificio (di popoli interi), tutta la laboriosa affermazione della verità e tutta l’intelligenza che ci sono volute per sconfiggere quello che allora sembrava un potere molto solido.

L’intelligenza è ciò che ora ci manca. Abbiamo guardato, e continuiamo a farlo, ai paesi a maggioranza musulmana e all’Islam con schemi semplicisti. Ci sembra che tutte le democrazie del mondo debbano essere uguali senza accorgerci che una democrazia musulmana o è religiosa o non sarà democrazia.

Nella lotta contro il terrore jihadista ciò che serve davvero è mettere le tante comunità scite e sunnite di fronte alla contraddizioni interne di un terrore che uccide in nome dell’Islam. Paradossalmente, per fare questo il contributo decisivo è stato e continua a essere quello dei martiri. I cristiani di Mosul, di Ma’lula, del Cairo o di Alessandria, che muoiono a causa della loro fede e che da mesi e anni sono protagonisti di un esodo massiccio, hanno provocato un movimento inedito all’interno dell’Islam. Prova ne è stato il congresso tenutosi agli inizi di dicembre al Cairo promosso da Al Azhar, l’università-moschea punto di riferimento per tutto l’Islam sunnita d’Africa: 600 leader cristiani e musulmani si sono espressi contro la violenza. Al Azhar ha preso posizione in modo molto forte già tre volte negli ultimi anni. La lettera aperta dei 120 ulema sullo Stato Islamico di novembre va nella stessa direzione. E arriveranno altri pronunciamenti, come ha chiesto papa Francesco nel suo viaggio in Turchia. Davanti a questi fatti il mondo a maggioranza musulmana è obbligato a fare una scelta. Alcuni, come Erdogan, hanno dovuto gettare la maschera.

La testimonianza, in questo caso estremo, è stato più efficace della tortura. Ciò non significa che non occorra fermare il genocidio dei cristiani. Ora che si stanno riguadagnando territori sullo Stato Islamico, bisogna cominciare a lavorare perché ritornino in Siria e nella piana di Ninive da dove sono stati brutalmente scacciati.

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