Russia senza speranza?

L'avventura ucraina o il crollo del rublo sono soltanto una sorta di effetto collaterale, in qualche caso tragico, ma comunque frutto di un male più profondo della Russia. PETR NAGIBIN

La Russia ha avuto ancora una volta in questi ultimi mesi la prima pagina (o quasi) con la crisi del rublo e le sue quotazioni precipitate in verticale: si è arrivati attorno ai cento rubli per un euro, mentre all’inizio dell’anno eravamo di poco sopra ai quaranta. Pochi sono gli analisti che attribuiscono questo crollo alla vicenda dell’Ucraina, con l’annessione della Crimea e le conseguenti sanzioni; anche autorevoli fonti russe fanno notare come si tratti piuttosto di una crisi di sistema in un paese che si era illuso di poter vivere solo o fondamentalmente coi proventi derivanti dalle materie prime.

Vorremmo evitare però, e vorremmo che l’Occidente lo facesse per primo, il coro dei “l’avevamo detto”, un coro che, come diceva un commento postato su Facebook, è troppo poco attento al vero cuore degli avvenimenti, che sono le difficoltà e le sofferenze patite dalla gente.

Ma poi c’è qualcosa di più profondo e radicale in questo paese, qualcosa che ha generato questa crisi e rispetto al quale l’avventura ucraina o il crollo del rublo sono soltanto una sorta di effetto collaterale, in qualche caso tragico, ma comunque sempre il frutto di un male più profondo.

Qualche giorno fa l’autorevole portale Pravmir (L’ortodossia e il mondo) postava un servizio sull’aumento vertiginoso dei suicidi tra gli adolescenti: nell’ultimo anno si sono triplicati, la vittima più giovane aveva appena nove anni e tra i motivi dei suicidi stessi ha fatto la sua comparsa l’idea della “paura del futuro”. Il paese è in crisi, ha perso la speranza di vivere; e, come si argomenta nel documento, questo avviene per una atmosfera di aggressività e di violenza che non si vedeva più da anni e che è veicolata dai mezzi di informazione di massa, innanzitutto la televisione. Cosa aspettarsi, del resto, commentava Tat’jana Krasnova (docente all’Università Statale di Mosca e coordinatrice di un progetto indipendente di solidarietà sociale), da un paese in cui il destino delle singole persone non conta nulla e in cui l’autocoscienza della nazione sembra consistere soltanto nella memoria della Grande Guerra Patriottica (come si chiama in Russia la seconda guerra mondiale)?

Ma è davvero senza speranza la Russia, dove la gente semplice rischia di non poter più comprare niente con i propri risparmi (e dove la borghesia che ha qualche soldo sembra non aver niente di meglio da fare che fare incetta di frigoriferi e Suv)? È davvero senza via di uscita la follia ucraina o la follia cecena, quando un presidente (nella conferenza stampa del 18 dicembre 2014), a una precisa domanda sulle repressioni dei parenti dei terroristi, risponde pubblicamente che la cosa lo trova assolutamente contrario perché la legge va rispettata, anche se lui sa che i parenti di un terrorista, di solito e come minimo, non possono non sapere cosa fa un loro congiunto? Il lettore occidentale medio potrebbe essere positivamente colpito dalla professione di legalità, ma è una risposta terribile in un paese che ha conosciuto l’esperienza dei lager “per le mogli dei traditori della patria”.

E allora, è davvero senza speranza un paese come questo? E per trovare dei motivi di speranza deve o può davvero andare a scuola da quell’Occidente che non sembra avere tante cose da insegnargli, vista la facilità con la quale certi suoi uomini politici, in Italia come in Francia, si entusiasmano per il suo presidente?

Direi di no. E, paradossalmente, il fondamento di questa speranza ha tutta l’aria di valere sia per l’Occidente che per la Russia.

Quella stessa Krasnova che abbiamo citato più sopra ricordava di aver capito una cosa interessante, proprio adesso che si sono scoperti poveri, ha capito che un tesoro comunque ce l’hanno: “il nostro gruppo di amici, la nostra gente. Con loro abbiamo condiviso gioie e dolori. Con alcuni abbiamo partecipato a funerali, con altri abbiamo brindato alle vittorie. Sono convinta che resteranno con noi qualsiasi cosa succeda. E non permetteranno né a se stessi né a noi di cadere nello sconforto. Cristo ha detto le parole più importanti: Non abbiate paura!“.

Dunque la persona è il punto dal quale ricominciare, una persona che trova la sua radice in una delle radici comuni di questa Europa, in una di quelli radici dove non ci sono più divisioni e anzi c’è la possibilità di accogliere chiunque senza più considerarlo un nemico.

Un altro russo, un giovane storico, Sergej Brjun, commentando l’incontro di Francesco e Bartolomeo ci spiega come è possibile: “Papa Francesco ha chiesto la benedizione al patriarca ecumenico Bartolomeo. Sia lode al Signore! Io non lo intendo nel senso che ‘loro’ hanno chiesto la benedizione al ‘nostro’… Dio mi scampi da un’interpretazione così meschina. Intendo dire piuttosto che in questo gesto è racchiusa la speranza di una passione per l’unità, magari piena di prove dolorose, ma comunque reale. Vuol dire riconoscere che l’unità della Chiesa è stata perduta… e non che la Chiesa nella sua integrità è rimasta in Oriente (mentre Roma, avendo perduta la Grazia, sarebbe caduta), o che Roma ha sempre tenuto aperta la porta (magari quella di servizio) ai fratelli orientali ‘distaccati’. Che il Signore protegga i vescovi di Roma e della Nuova Roma, che sorretti da un coraggio, un’umiltà, una sapienza e una carità incredibili, ci chiamano all’unione in Cristo“.

Tutto sta a capire non se avremo capi di Stato capaci di fare altrettanto, ma se ciascuno di noi sarà capace di guardare al suo “altro” così, ricominciando ogni minuto, ogni volta dopo aver subito (o commesso) un’ingiustizia. I destini della Russia, dell’Ucraina, dell’Europa e del mondo, esattamente come i destini della Chiesa, si giocano a questo livello, non al livello dei grandi giochi della geopolitica, della finanza o delle cancellerie ecclesiastiche, ma al livello del modo in cui si guardano due persone.

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