La libertà sconfitta dalla crisi. L’Illuminismo frustrato dal fallimento dello Stato sociale. Questa è, secondo Todorov, la situazione dell’Europa in questo fine 2014. Il filosofo bulgaro, che tanto ha fatto per creare un nuovo pensiero positivo e per riscattare i valori dell’Illuminismo, ha concesso alcuni giorni fa un’intervista a El País, in cui ha detto che gli ideali che cambiarono il Vecchio continente sono irrealizzabili, almeno per i poveri. Una denuncia molto forte nel momento in cui la classe media sta sparendo. “Gli individui poveri non sono liberi”, ha detto Todorov. “Quando non trovi mezzi per curare le tue malattie, quando non puoi vivere nella casa che avevi perché non te la puoi permettere, non sei libero. La libertà non puoi esercitarla se non hai potere e quindi diventa una parola scritta su un pezzo di carta”.
Noi moderni, che abbiamo fatto trionfare le rivoluzioni più difficili, che abbiamo resistito con dignità all’avvio del marxismo, ora siamo sconfitti dalla sottomissione della politica al mercato. Questa sconfitta potrebbe avere però radici profonde. Se la libertà è poter fare, forse tutto è cominciato quando è stata scritta quella che Finkielkraut ha chiamato “l’autentica Bibbia dell’età moderna”, il Discorso sulla dignità di Pico della Mirandola (1482). Da quel momento “la dignità dell’uomo non dipende più dal posto assegnatogli, una volta per tutte, nell’edificio cosmico, ma […] sta insomma nell’abolizione del definitivo. Perché l’uomo è l’essere in cui l’agire non deriva dall’essere, ma il cui essere deriva dall’agire”, spiega il filosofo francese.
Dopo 500 anni ci accorgiamo di essere gente frenetica, ci agitiamo e creiamo un polverone per trovare un’identità che appare sempre più lontana: in quello che saremo un giorno in grado di fare. Così la libertà dei poveri, e di tutti noi, diventa impossibile. Cresce un risentimento verso la realtà così come ci è data. E spesso questa “fuga” si copre con parole sante e nella Chiesa, come ha denunciato papa Francesco, prende la forma del vecchio pelagianesimo.
Per questo il Natale si presenta come un annuncio molto adatto a risolvere il dilemma posto, alcuni mesi fa, da Finkielkraut: “Noi uomini moderni siamo destinati a vivere soli in mezzo ai nostri prodotti o possiamo riconoscere che esiste qualcosa che ci fa essere? Credo che dobbiamo sentirci invitati a questo tipo di conversione di cui la poesia ha sempre parlato”.
Dimentichiamo per un momento la morale. C’è qualcosa a cui ci si dovrebbe convertire? È successo qualcosa per cui valga la pena “voltarsi”? A queste domande non si può rispondere di fretta. Hannah Arendt dice che sì, c’è un nuovo inizio e le nostre azioni possono smettere di essere schegge impazzite, lasciando udire l’eco di una profezia.
“Senza la capacità di iniziare qualcosa di nuovo e senza il principio che entra nel mondo con la nascita di ogni essere umano, la vita dell’uomo, che va dalla venuta al mondo alla morte, porterebbe inevitabilmente alla rovina e alla distruzione. L’azione, con tutte le sue incertezze, è come un promemoria sempre presente del fatto che gli uomini, anche se devono morire, non sono nati per questo, ma per cominciare qualcosa di nuovo”.
Sappiamo tutti che tutto ciò che facciamo attende, silenziosamente, una nuova nascita in cui sia possibile sentirsi amati, preferiti, pacificamente abbracciati, “privilegiati”. Maria, i pastori e i Magi lo avevano atteso, cercato, chiesto, ma quando il Bambino è arrivato si accorsero che era totalmente diverso da quello che si erano immaginati (“Per noi questa Nascita fu come un’aspra ed amara sofferenza, come la Morte” fa dire Eliot ai Magi). Questo è ciò che li ha resi liberi dall’autonomia che rende schiavi. Maria, i pastori e i Magi sono davanti alla Nascita, pervasi dall’impressione che è cominciato qualcosa di nuovo. Dominati dall’evidente e pacifica chiarezza di un inizio che rende possibile tutti gli inizi: è la libertà del Bambino che ti rende figlio.