A don Giacomo Tantardini, che ha frequentato Padova per tanti anni con i suoi corsi universitari su sant’Agostino e le meditazioni in basilica del Santo, era particolarmente caro un cenno sul Natale di Sant’Antonio: «Natale, ecco il paradiso». «Quando duemila anni fa a Betlemme Maria l’ha partorito: ecco il paradiso — commentava don Giacomo —. La felicità non più promessa, non più attesa, non più sperata, non più intravista da lontano. La felicità fatta carne era presente. Era visibile. Il sommo piacere era venuto Lui stesso incontro all’uomo: ecco il paradiso».
Ma come pensare che Natale sia l’avvento del paradiso di fronte a notizie come quelle provenienti dal Pakistan e dallo Yemen? È come se quest’anno la strage degli innocenti, invertendo l’ordine cronologico dei vangeli, abbia preceduto l’arrivo di Cristo. Una violenza omicida portata contro l’innocenza bambina, forse più terribile di allora, perché, in fondo, «Erode aveva uno scopo politico nel suo sanguinario agire — ha scritto un amico commentando l’accaduto — eliminare la minaccia di uno scomodo successore. Qui tutto è follemente simbolico, di un simbolismo satanico». E oggi come allora risuonano le parole antiche della Bibbia: «Un grido si è udito in Rama, un pianto e un lamento grande: Rachele piange i suoi figli e rifiuta di essere consolata, perché non sono più».
Eppure, in questa tragica temperie, il mondo è attraversato anche da accadimenti che portano un soffio di speranza, oggi forse più di conforto che in altri tempi. Penso ad esempio alla revoca dell’embargo verso Cuba, favorita dall’azione ma soprattutto dalla preghiera di papa Francesco e dei collaboratori che si è scelto, tra cui il nostro cardinale veneto Piero Parolin spicca per realismo e capacità di dialogo. Un gesto quello di Obama verso Raul Castro che potrebbe preludere a cambiamenti più importanti. E ancora: l’Unione Europea ha riconosciuto lo Stato della Palestina nell’ambito dello sviluppo del processo di pace con Israele. Un passo che va nella direzione di favorire la ripresa dei negoziati tra israeliani e palestinesi, per tentare nuove vie di pace in una terra tanto martoriata quanto cara, in particolare in questo momento natalizio: la terra che ha visto il Natale del dolce Gesù.
Grandi drammi e piccoli segni di speranza in questo Natale 2014, che ci invita a riscoprire la tenerezza del Signore. Un evento piccolo nel suo accadere, insignificante per il mondo allora. Che accadde senza clamore, come ha ricordato papa Francesco nell’Udienza generale del 17 dicembre: «Gesù nacque in una famiglia. Lui poteva venire spettacolarmente, o come un guerriero, un imperatore… No, no: viene come un figlio di famiglia, in una famiglia. Questo è importante: guardare nel presepio questa scena tanto bella».
E più avanti, dopo aver accennato al fatto che Gesù nasce in «una periferia piuttosto malfamata», ha voluto ricordare che si trattava di una famiglia normale: «Si lavorava, la mamma cucinava, faceva tutte le cose della casa, stirava le camice… tutte le cose da mamma. Il papà, falegname, lavorava, insegnava al figlio a lavorare…».
E così come allora, ogni nostra famiglia, ha proseguito papa Francesco, «come fecero Maria e Giuseppe, può anzitutto accogliere Gesù, ascoltarlo, parlare con Lui, custodirlo, proteggerlo, crescere con Lui; e così migliorare il mondo».
Insomma, la tenerezza del Natale, la grazia che da allora è discesa nel mondo — “ecco il paradiso” — non ha abbandonato questo povero mondo. E continua a manifestarsi secondo tempi e modi misteriosi, secondo il mistero buono del Signore, attraverso avvenimenti, piccoli o grandi che siano, che riscaldano il cuore, danno conforto e infondono speranza.
Nel suo piccolo, per ricordare un segno di solidarietà che mi è particolarmente caro, credo che anche la Cena di Santa Lucia, che si è svolta il 12 dicembre scorso, sia stato un segno in questo senso. Le opere di carità e solidarietà più belle del nostro territorio si sono ritrovate insieme, si sono raccontate a tutta una città, hanno favorito a loro volta altre iniziative di sviluppo nel mondo.
“Anche la favilla più piccola può brillare nelle tenebre”, ha scritto il presidente degli Stati Uniti nel suo messaggio augurale alla comunità ebraica per la festività dell’Hanukkah. Quella piccola favilla accesa nella notte di Betlemme ha rischiarato, rischiara il buio che incombe sul mondo. E oggi come allora a noi, poveri pellegrini di questo povero mondo, può essere dato, come allora ai pastori, di distogliere lo sguardo dalla notte buia per riguardare con occhi pieni di stupore e commozione quella infinita misericordia bambina che ha nome Gesù.