Il discorso che Papa Francesco ha pronunciato lo scorso 30 novembre a Istanbul ha una portata storica eccezionale, così come tutte le parole pronunciate durante quei giorni d’incontro sia dal Pontefice sia dal Patriarca Ecumenico Bartolomeo. L’inizio della loro dichiarazione congiunta è fulminante: «esprimiamo la nostra sincera e ferma intenzione, in obbedienza alla volontà di nostro Signore Gesù Cristo, di intensificare i nostri sforzi per la promozione della piena unità tra tutti i cristiani e soprattutto tra cattolici e ortodossi».
Le parole e i gesti: Pietro che chiede umilmente al fratello Andrea la benedizione per sé e per la Chiesa di Roma, Andrea che lo abbraccia e gli dona il bacio della pace – immagini che vanno dritte al cuore del cristianesimo e fanno percepire fisicamente che siamo dentro la storia eterna della Salvezza, che la storia dell’incarnazione del Verbo la stiamo vivendo ora.
Parole che in questa parte del mondo – tra Mosca e Kiev – risuonano con particolare urgenza perché qui un popolo profondamente cristiano è dilaniato da una guerra fratricida, cosa che i due fratelli non hanno mancato di ricordare al mondo: «in particolare, preghiamo per la pace in Ucraina, un Paese con un’antica tradizione cristiana, e facciamo appello alle parti coinvolte nel conflitto a ricercare il cammino del dialogo e del rispetto del diritto internazionale per mettere fine al conflitto e permettere a tutti gli Ucraini di vivere in armonia».
E le immagini hanno amplificato quelle parole, semplici e profondissime, quasi buttandoci in faccia il loro senso. Perché se nel suo discorso il Papa non ha tralasciato nessun dettaglio del perché e del come del «cammino verso la piena comunione», le immagini di quell’abbraccio tra due uomini, tra due fratelli, dicevano forte e chiaro “ecco, è semplicemente questo che dovete fare anche voi!”: «incontrarci, guardare il volto l’uno dell’altro, scambiare l’abbraccio di pace, pregare l’uno per l’altro».
Ed è un richiamo potentissimo, tutto racchiuso in un semplice abbraccio: in un mondo che sembra impazzire e sta scatenando una guerra ferocissima contro Cristo e tutto ciò che è Suo – una guerra che ha mille forme, di cui nessuna incruenta – Pietro e Andrea chiedono ai cristiani di unirsi a loro nella comune invocazione al Padre affinché «tutti siano una sola cosa … perché il mondo creda». Perché, di fatto: «come possiamo annunciare credibilmente il Vangelo di pace che viene dal Cristo, se tra noi continuano ad esistere rivalità e contese?» Quell’abbraccio è tutto un’altra logica, una logica che forse abbiamo dimenticato, che sentiamo lontana … duemila anni. Ma è la logica dell’oradi Cristo e non ce n’è un’altra capace di salvare il mondo. Questo mondo.
E allora ci si sente confortati perché si rivede splendere il senso vero di tutti gli abbracci che si vivono e che a volte sembrano gesti così piccoli rispetto alle logiche di potere del mondo da non essere guardati seriamente nemmeno da noi stessi che, pur vivendoli in prima persona, non crediamo fino in fondo si tratti letteralmente di Quello stesso Avvenimento: «Andrea […], dopo avere seguito Gesù là dove abitava ed essersi intrattenuto con Lui, “incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: ‘Abbiamo trovato il Messia’ – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù”».
È questa altra logica che continua ad accadere oggi, anche in Russia e in Ucraina: l’amicizia tra cristiani cattolici e ortodossi, tra cristiani russi e ucraini, tra ortodossi e greco-cattolici, il comune sentire quel grido dei giovani che chiedono l’unità della Chiesa e il tentativo di vivere quel grido con loro e di non scandalizzarli con il nostro formalismo. Perché tutti i nostri tentativi di dialogo non solo non testimonierebbero nulla ma non potrebbero nemmeno esistere nel contesto di schizofrenia in cui viviamo: non ci sarebbe nulla se non ci fosse «un’esperienza personale», un abbraccio che precede ed accompagna, un abbraccio tra «persone che, innamorate di Cristo, non possono non trasmettere la gioia di essere amate e salvate».