Ma cosa pretende l’Italia dai suoi giovani? Prima ha regalato loro un sistema in cui le garanzie e i diritti sono tutti asimettrici a favore delle generazioni più anziane. Poi li ha lasciati senza nessuna protezione in balia di un’omologazione demenziale. Li ha affidati ad università ostaggio di baroni e dove l’ultima preoccupazione è la cura di chi viene a studiare. Li “compiange” mitragliandoli con le statistiche impietose sulla disoccupazione. E, dulcis in fundo, li mette alla berlina accusandoli di essere dei “bamboccioni”. Ieri in questo esercizio, che personalemte ritengo indisponente, si è cimentato anche John Elkann durante un incontro con dei giovani a Sondrio. Lasciando da parte facili ironie sulle responsabilità che la dinastia a cui lui appartiene ha sulla situazione dell’Italia di oggi (e quindi, di conseguenza sulla situazione dei giovani), è sbagliato, profondamente ingiusto continuare a guardare alla questione dei giovani in questo modo.

È sbagliato, perché è un modo schematico e semplicistico di fotografare la situazione. Ed è ingiusto perché è facile seppellire i giovani sotto le loro stesse difficoltà, quando invece la responsabilità vera di chi occupa ruoli come quelli che John Elkann ha la “fortuna” di occupare, sarebbe quello di dare stimoli, di suggerire percorsi, di attivare energie nascoste. Verrebbe da dire che tra le sfortune che i giovani italiani hanno è quello di dover ascoltare prediche come quelle di Elkann anziché incoraggiamenti affascinanti come quelli di uno Steve Jobs.

C’è modo e modo di parlare ai giovani. E i modi non sono una variante indifferente. Spesso il modo conta più della sostanza. Molti hanno certamente in mente quel meraviglioso discorso che David Foster Wallace fece ai ragazzi laureati al Kenyon College nel 2005 (“Questa è l’acqua”). Wallace aveva davanti a sé tanti potenziali “bamboccioni” pronti a farsi inghiottire da quella che lui chiama la “configurazione base” del tipo umano americano. Dice loro Wallace: «Il cosiddetto “mondo reale” non vi scoraggerà dall’operare con la configurazione di base, poiché il cosiddetto “mondo reale” degli uomini e del denaro e del potere canticchia allegramente sul bordo di una pozza di paura e rabbia e frustrazione e desiderio e adorazione di sé. La cultura contemporanea ha imbrigliato queste forze in modo da produrre una ricchezza straordinaria e comodità e libertà personale. La libertà di essere tutti dei signori di minuscoli regni grandi come il nostro cranio, soli al centro del creato».

Questo è un tipo di libertà, ma non è certo l’unica libertà che avete davanti, spiega poi Wallace ai ragazzi. Ad esempio, «la libertà del tipo più importante richiede attenzione e consapevolezza e disciplina, e di essere veramente capaci di interessarsi ad altre persone e a sacrificarsi per loro più e più volte ogni giorno in una miriade di modi insignificanti e poco attraenti. Questa è la vera libertà. Questo è essere istruiti e capire come si pensa».

Non si tirano fuori i giovani dalle case dei loro genitori propinando loro sempre le solite prediche e tirando loro i soliti scappellotti verbali. Forse è più onesto ammettere che oggi non si sa cosa dire ai giovani, che non si sa come accompagnarli a dare un senso all’esperienza che stanno facendo, qualcunque esperienza essa sia. E allora è meglio ritirarsi e tacere. E augurarsi che in giro ci sia qualcuno (che per fortuna c’è) che sappia parlare loro, che li aiuti «a imparare a pensare», a riconfigurare il loro sguardo, a capire che nulla di quel che si vive è insignificante, a costruirsi un percorso, per quanto faticoso possa essere.