Piccolo ed istruttivo episodio di vita d’automobilista. È sera, sto uscendo da Milano e c’è il solito caotico traffico; accendo la radio per sentire un po’ di musica. Stanno trasmettendo una bellissima sonata per pianoforte che non conosco. Nel frattempo arrivo allo svincolo per immettermi nella tangenziale; la sonata continua e mi dispiace che tra un po’ non la sentirò più perché il canale che la trasmette si perde non appena si esce dalla città e non saprò nemmeno di cosa si tratta.

Mi viene in mente di utilizzare l’applicazione del telefonino che riconosce le musiche. Visto che sono fermo in coda, in doppia fila, estraggo il cellulare, cerco l’icona giusta, la apro, attivo la ricerca e poi mi porto avanti di qualche metro. Guardo di nuovo il display; trovato: sonata 52 di Haydn. Soddisfatto – intanto mi sposto sulla colonna di destra perché devo andare da quella parte – chiudo l’applicazione e rimetto in tasca il cellulare. Mentre è in corso questa semplice operazione vedo che nella mia direzione si è aperto uno stretto passaggio; mi ci infilo e non mi accorgo di stringere troppo la curva. Sento che qualcosa urta contro la fiancata; è un catarifrangente del guardrail che mi lascia una leggera riga sulla portiera. Tutto per una banale distrazione.

Forse, però, la distrazione non è mai banale. Il dizionario Devoto-Oli la definisce così: “assenza del pensiero dalla realtà oggettiva”. Mica poco. Del resto l’etimologia stessa della parola non lascia equivoci: essere dis-tratti significa essere trascinati in una direzione diversa da quella richiesta da ciò che abbiamo davanti, dal pezzo di realtà con cui dobbiamo fare i conti. La conseguenza è che trattiamo male quel dato, in modo più o meno grave lo roviniamo; come ho fatto io con la portiera della mia macchina e anche col guardrail che sarà rimasto leggermente ammaccato.

Constatato la lieve entità del danno, mi sono rimesso alla guida e ho pensato a quante sono le occasioni quotidiane in cui la distrazione domina. Quelle più normali, che diventano persino abitudinarie, come lasciare accesa una luce (si consuma elettricità per niente), aperta un’antina (qualcuno ci potrebbe sbattere la testa e, comunque, la dovrà pur chiudere), stappata inutilmente una bottiglia di acqua minerale (che così si sgasa) e infinite altre. Quelle legate al lavoro: arrivar tardi solo perché non si è prestata attenzione ai tempi di percorrenza; la curiosità di andare a vedere le ultime notizie mentre ci si dovrebbe concentrare sul proprio compito; lasciar vagare la mente in pensieri inconcludenti come quando, da bambini, si guardava fuori dalla finestra per la noia della lezione e la maestra ci beccava sempre.

Ma è soprattutto nei rapporti con gli altri che vige il grande dominio della distrazione. L’altro, infatti, è infinitamente mobile, è diverso di giorno in giorno, di ora in ora, ed occorre quindi una grande attenzione – il contrario della distrazione – per accorgersi veramente di lui, per capire di cosa ha bisogno, per scoprire cosa può offrire, per stabilire, insomma, un rapporto umano e non un casuale contatto. In quest’ultimo caso – prodotto della distrazione reciproca – siamo solo auto e guardrail che si urtano vicendevolmente e inesorabilmente, quindi, si feriscono. La righina sulla portiera starà lì per un po’ a ricordarmelo.