Qui le notizie e i video sulla situazione in Ucraina valicano il confine nazionale senza troppi problemi: il web russo e quello ucraino sono un territorio unico e anche se tanti post sono scritti in ucraino i russi li capiscono. In realtà poi moltissimi messaggi arrivano direttamente in russo. La barriera linguistica è quasi impercettibile. 



Un’evidenza: i fatti di Kiev degli ultimi giorni non lasciano tranquilli gli animi né da una parte né dall’altra. L’attuale situazione politica ucraina è fortemente instabile, gli scenari sulle cause che hanno scatenato il massacro della “centuria celeste” – come vengono chiamate le vittime degli scontri del 18 febbraio da buona parte degli ucraini – sono confusi, e altrettanto confusi e incerti sono quelli che si spalancano davanti al futuro del paese. La Russia è – di fatto – troppo coinvolta storicamente, geograficamente e politicamente per restarne fuori. Ma non solo: se l’Europa può comportarsi da “parente lontano” – dei parenti lontani ci si dimentica perfino l’esistenza a volte, li si ricorda soltanto in occasione di eventi particolarmente lieti o tragici – la Russia no, i russi sono i “parenti stretti”, e non è una metafora, tanto sangue ucraino scorre nelle vene dei russi e viceversa. 



Seconda evidenza: il territorio mediatico russo-ucraino è diventato un vero e proprio campo di battaglia, c’è una guerra in corso. Si potrebbe anche dire che in fondo è sempre un po’ così, che i social net si prestano allo scatenarsi di un certo tipo di reazioni istintive (quelle di cui poi normalmente ci si vergogna) e le mettono irrimediabilmente in piazza. Bene, ma questo è il nostro mondo ed è il mondo con cui avranno sempre più a che fare le nuove generazioni. È un modo di comunicare che caratterizza il nostro tempo e con cui dobbiamo fare inevitabilmente i conti ma ancora, e soprattutto, è un fatto che fa emergere qualcosa di prezioso: ci dice qualcosa di noi, di quello che siamo, di come ci muoviamo.   



In internet c’è un vero e proprio massacro: tra ucraini e ucraini, russi e russi ma soprattutto ucraini e russi. È come se in tanti si fossero volontariamente “arruolati” e ognuno, da soldato efficiente – dotato di fucile, mitragliatrice o cannone, a seconda delle capacità linguistiche e del tempo a disposizione per scrivere –  a un certo punto spara, dalla sua postazione che gli permette una certa (apparente) tranquillità. Ci sentiamo un po’ schermati… non sicuri però, perché la guerra c’è e occorre sparare, attaccare il nemico e difendersi. Ma sembra, e in questo caso è molto evidente per la contraddittorietà delle notizie che esplodono, che dove sia (e chi sia) il nemico vero non lo sappia nessuno. Però che un nemico c’è l’hanno capito tutti, ed è un nemico che sa uccidere a sangue freddo ragazzi e vecchi indifesi – non reagire non si può, ma contro chi?  

Le domande più semplici se le fanno in pochi. Le domande proprio più elementari. La prima –  «cosa sta realmente succedendo?» – è eliminata o almeno soffocata, schiacciata sotto il peso di due macigni: il fatto che qui, da una parte e dall’altra, tutti credono di sapere già perfettamente come stanno realmente le cose (e chiaramente ognuno afferma con granitica certezza la sua versione dei fatti presenti e passati) e le falsità che continuamente trasmettono i mezzi di comunicazione russa. Un esempio: qualche giorno fa in Russia è girata la notizia che la Rada era stata occupata dagli attivisti e la notizia è stata immediatamente accolta e diffusa con grande clamore da tutti quelli che “già sapevano” che il Maidan è un movimento fatto fondamentalmente da radicali e nazionalisti (mi limito alle definizioni più soft). Peccato che la notizia fosse assolutamente falsa… 

Ma ci sono altre domande, semplicissime, visto che qui metà della popolazione (ma forse di più) ha parenti o amici in Ucraina che io non ho sentito risuonare quasi mai da parte russa. Domande del tipo: «come stai? Come stanno i tuoi figli? Ho visto le foto, sei stato in piazza, ho visto quello che è successo… come va?»  

È come se queste domande non trovassero il fiato per uscire, come se non fossero importanti. Sono azzerate. Con tanta gente ho discusso le vicende di Kiev, gente con cui abbiamo amici ucraini comuni, ma a questi amici nessuno ha rivolto questo semplice sguardo umano, questa… carezza. Come se, trattandosi di politica, con di mezzo una rivoluzione, possiamo garantire al massimo di pensare ai nostri amici, o di pregare per loro, ma di guardarli in faccia no. Perché? Questo è un fenomeno che ho osservato e continuo ad osservare incredula. 

Le parole vengono usate per altro, per quelle sparatorie contro un nemico non ben identificato che alla fine diventa inevitabilmente l’altro, quello che la pensa diversamente da me. Le parole “uccidono” ha ricordato Padre Georgij Kovalenko in un suo messaggio. E a navigare tra i botta e risposta di questi giorni non si può non notare che la violenza che hanno raggiunto è davvero agghiacciante. 

Il dato più oggettivo è che il nemico, quello vero, sta scatenando il panico e innescando un odio omicida, fratricida. Ma è un panico che, come ha affermato un giovate protagonista del Maidan … «a volte è maggiore su facebook che in piazza». 

Da dove viene tutto questo odio? Chi è che odia così l’uomo tanto da accecarlo? Dostoevskij ammoniva: «Il diavolo lotta con Dio e il campo di battaglia è il cuore dell’uomo».