Al World Economic Forum di Davos si è parlato di molte cose. La diagnosi condivisa è stata che i paesi emergenti traineranno di meno la ripresa mondiale e che toccherà alla vecchia Europa, più che alla giovane America, farlo. Quel che è successo nelle ultime due settimane sembra confermarlo: l’annuncio della riduzione del quantitative easing della Fed ha fatto crollare le monete dei paesi emergenti, dato che ci sono meno dollari da investire in Brasile, Turchia, ecc. A Davos, però, oltre a constatare questa nuova situazione, c’è stato un interessante dibattito tra due premi Nobel dello scorso anno: una discussione che esce dall’ambito accademico e che riguarda molto da vicino la vita della gente comune.
Nel 2013 la Banca di Svezia ha diviso salomonicamente il premio tra Robert J. Shiller ed Eugene F. Fama. Le loro posizioni sono opposte. Fama sostiene la teoria dell’efficienza dei mercati. Ha sviluppato un modello che lo porta a concludere che i mercati finanziari incorporano in ogni momento le informazioni disponibili. Non ci sono quindi fattori esterni che alterano in maniera sostanziale il prezzo di quel che si compra o si vende. Fama nega che ci siano state bolle finanziarie. Shiller, al contrario, assicura che i mercati si comportano in modo irrazionale e che occorre tenere in grande considerazione i fattori psicologici. Alcuni hanno visto in questa discussione la riedizione delle polemiche tra Keynes e von Hayek.
Shiller a Davos ha denunciato il fatto che sei anni dopo l’incubo dei subprime ci stiamo dimenticando gli effetti dell’ultima bolla e che la teoria dei mercati efficienti porta con sé delle implicazioni evidenti: Europa e Stati Uniti hanno speso miliardi dei contribuenti per salvare le grandi compagnie finanziarie ed evitare che il loro default facesse collassare l’economia; se cresce la convinzione che i mercati si comportano autonomamente in maniera adeguata, i sostenitori della deregolamentazione che tanti danni ha fatto dalla fine degli anni ‘80 troveranno terreno fertile per le loro posizioni.
La teoria dei mercati efficienti è una dottrina che si riferisce esclusivamente alla borsa e alla compravendita di asset. Ma può essere anche un motto per coloro che, ostinatamente, continuano a sostenere che la mano invisibile del mercato è capace di trasformare magicamente gli interessi individuali nel bene di tutti.
Da circa 25 anni, da quando è caduto il Muro di Berlino, abbiamo imparato con tanto sacrificio quanto sia ingenuo un certo liberalismo economicista. Per questo è molto sorprendente che alcuni si siano innervositi di fronte alle affermazioni della Evangelii Gaudium.
Ora sappiamo che abbiamo bisogno di uno Stato capace di far respirare la società. Ma nemmeno questo passo è sufficiente. Nella Caritas in veritate e nella Evangelii Gaudium c’è una strada interessante, non per moralizzare l’economia dall’esterno, ma per comprendere la sua dinamica più profonda.
Nei due testi si segnala che la gratuità e il fatto che l’uomo sia un essere relazionale sono due fattori decisivi per sbloccare il motore ultimo dell’attività produttiva e commerciale. Più che l’interesse, l’impulso fondamentale è la socializzazione: senza buonismi, perché tale spinta può venire meno, questa chiave ci permette di capire il nostro ruolo di agenti dell’economia e di regolarlo.