Il successo della Manif pour tous di domenica 2 febbraio porta alla scoperto l’inquietudine della Francia verso l’attività dell’attuale ministro dell’Educazione Nazionale, Vincent Peillon. Da tempo questi, dietro lo slogan della “rivoluzione incompiuta”, si è impegnato verso una sostanziale trasformazione della laicità repubblicana: da garante degli spazi di espressione, comunicazione delle idee e garanzia dei diritti, la laicità diviene produttrice di una specifica cultura, ha i propri valori ed i propri principi educativi; valori e principi educativi che, proprio in quanto provenienti dallo Stato, devono necessariamente costituire lo scenario culturale condiviso da tutti. 

Dietro queste parole d’ordine è all’opera un’estesa operazione culturale tesa a relativizzare la famiglia naturale, minimizzare le differenze sessuali tra uomo e donna ed edificare nuovi spazi di autonomia individuale per dei soggetti concepiti come finalmente liberi dai ruoli di genere. 

Si tratta, come constata Pierre Manent sul Foglio del 31 gennaio, di una “laicità militante e aggressiva” in quanto non si limita a garantire gli spazi di libertà ma definisce una prospettiva culturale. Si può aggiungere che una tale prospettiva finisce per avere un peso dominante visto che esce direttamente dagli uffici del ministro, gode dei canali di diffusione ufficiale ed ha la possibilità di avvalersi di circolari e gazzette che la trasformano in norma. 

Per tale strada si produce un vero e proprio “colpo di mano” culturale, in quanto una tale funzione pedagogica della laicità non può più coesistere con quella, tradizionale, di garante dei diritti e dell’espressione dei diversi punti di vista, ma di fatto vi si sovrappone e finisce con il soffocarla. Vincent Peillon realizza una vera e propria svolta autoritaria dettando le regole del nuovo universo sociale, dominato dalla cultura di genere e da tutte le derive del determinismo sociologico e del costruttivismo degli anni settanta.

Si assiste così ad un’intolleranza incomprensibile nei confronti dell’opposizione, in particolare di quella di matrice cattolica. La Francia laica del ministro Peillon, scoprendosi improvvisamente pedagoga e garantista, regolatrice dei costumi e delle forme espressive, si rende pertanto serenamente, ma anche ridicolmente, repressiva. Si arriva così ad arrestare e multare un padre che indossa il logo della Manif pour tous, dove è rappresentata la coppia eterosessuale con dei bambini. Così come si arriva a circondare di plotoni di poliziotti in assetto antisommossa i gruppi dei giovani veuilleurs quando si è perfettamente al corrente di come questi ragazzi si limitino a recuperare l’eredità culturale delle leggi dell’anima leggendo autori, ascoltando musiche e poesie in nome del diritto assolutamente pre-politico di recupero del vero

La laicità militante del ministro arriva a postulare la necessità di una “religione repubblicana” – di fatto una “religione di Stato” – che si deve fare carico di diffondere i valori della repubblica. Per tale strada Peillon sposta la laicità dello Stato francese al di là dei confini che la strutturano, facendole recuperare quella dimensione pedagogica e implicitamente religiosa che deteneva a metà dell’Ottocento. Riemerge così la vecchia idea di matrice illuminista e positivista che vede la dimensione religiosa come superstizione e la cultura che questa ha originato come la matrice delle “costruzioni culturali” delle quali oramai ci si può liberare. 

Peillon non riesce più a vedere il legame essenziale che la religione cristiana intrattiene con la laicità democratica (che pure è stato delineato con tanta chiarezza da Tocqueville in poi) e compie un’operazione di espansione culturale dove alla separazione dei poteri tra Stato e Chiesa si sostituisce uno Stato promotore di un nuovo orizzonte morale.

Per tale strada la laicità stessa perde il suo primato e si trasforma in semplice ideologia: una fine ingloriosa alla quale la “manif pour tous” di domenica ha replicato con un franco e vittorioso segnale di dissenso.