Tempestivo. Contraddittorio. Scorretto. In una parola, sospetto. Il rapporto del Comitato Onu per i diritti del fanciullo che ha conquistato le prime pagine dei siti, le headlines dei notiziari e gli editoriali di mezzo mondo possiede una sorprendente efficacia mediatica e una mendacità intrinseca. Presentato ieri a Ginevra ha riproposto la gogna per la Santa Sede, rea ancora una volta (a giudizio dell’organo internazionale), di non aver fatto nulla o abbastanza sulla questione degli abusi sessuali su minori commessi da esponenti del clero.
Basta leggere le 16 pagine di burocratese targato Nazioni Unite per balzare indietro di 10 anni, alla Chiesa deturpata dai peccati di alcuni suoi figli, imbarazzata e contrita per la cecità di alcuni pastori, ancora titubante se non recalcitrante sulla strada della conversione. Eppure c’è stato il lungo travaglio del pontificato ratzingeriano, la purificazione impressa da un papa inflessibile nel giudicare e affrontare i mali della “santa meretrice”, l’azione decisa e inequivocabile di Benedetto, quella che forse gli è costata più di tutto in termini di vigore fisico e saldezza spirituale.
Ma i 18 esperti capitanati dalla pastora luterana norvegese, tale Kirsten Sandberg, non ne hanno tenuto conto. O meglio non ne hanno “voluto” tenere conto. Altrimenti non sarebbe spiegabile lo sconcerto dei membri della delegazione vaticana che il 16 gennaio scorso erano stati ascoltati in sede internazionale proprio dall’organismo che deve vigilare sulla Convenzione sui diritti dell’infanzia. Da mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente vaticano presso gli uffici Onu a Ginevra ad altri esponenti della Santa Sede, filtra la sorpresa per un esito imprevisto ad una consultazione che era terminata persino con i complimenti della suddetta presidente (la pastora) per le risposte fornite alle interrogazioni della commissione.
Ora c’è chi si azzarda a parlare di “mortificazione del comitato stesso” per l’azione che ha piegato il rapporto finale ad uno schema ideologico e pretestuoso già scritto abbondantemente prima della 65esima sessione del comitato. Sessione che ha esaminato anche Congo, Germania, Portogallo, Federazione Russa e Yemen oltre la Santa Sede. Paesi che non brillano per attenzione ai diritti dei bambini, ma che inspiegabilmente non sono finiti sotto i riflettori. E questo nonostante l’inflessibile comitato abbia fatto “nera” persino al Germania della Merkel (leggere per credere i paragrafi 43/46 del rapporto dedicato alla Repubblica Tedesca).
Entrando poi nel merito, oltre alla reiterate accuse alla Chiesa cattolica di aver violato la convenzione sui diritti dell’infanzia, nel rapporto non v’è, inspiegabilmente, traccia dei dati forniti dalla delegazione vaticana, dai 400 sacerdoti ridotti allo stato laicale tra il 2011-2012 perché ritenuti colpevoli di atti di pedofilia alle misure adottate dalla Congregazione per la Dottrina della fede su decisa pressione di Benedetto XVI.
Una sordità colpevole e ambigua, che rivela persino malafede, se non ignoranza, quando rifiuta di registrare alcune evidenze. Ne sono un esempio i protocolli addizionali alla convenzione: come quello che ingiunge, alla Santa Sede, il non reclutamento di bambini nei corpi militari e che prescinde dal fatto che il Vaticano non possiede eserciti. E si potrebbe continuare con le incongruenze, la segnalazione di macroscopici errori, la superficialità di un rapporto che aveva un’idea precostituita da difendere e propugnare, a scapito della verità.
Ma quello che occorre capire è il perché. Il perché della palese interferenza di un organismo internazionale nella politica della Santa Sede (nel rapporto si chiede di apportare modifiche al diritto canonico, di “riferire al Papa, alle congregazioni vaticane e ai tribunali ecclesiastici” quanto detto, come se la Santa Sede fosse qualcos’altro, di modificare il proprio insegnamento in materia di aborto, contraccezione e identità di genere). Viene da mostrare comprensione per gli Stati Uniti che non hanno ratificato la Convenzione Onu proprio perché preoccupati dalle eccessive ingerenze negli affari interni degli Stati firmatari.
Ma c’è soprattutto da chiedersi il motivo di questa controffensiva fuori tempo, di questo nuovo attacco, sproporzionato, ad una Chiesa che da almeno sette anni si è posta, non senza sofferenza, come modello di trasparenza nella lotta alla violenza sui piccoli. Ho l’impressione che si sia alzato il tiro, che sebbene sotto accusa sia la chiesa di Benedetto si voglia colpire in questo caso quella di Francesco. Come altrimenti valutare dopo un anno di totale silenzio sulla questione chiesa/abusi questo rigurgito di accuse indiscriminate e in gran parte ingiustificate? Non credo alla fine della luna di miele. Anzi è esattamente il contrario: è proprio l’esposizione mediatica di Francesco che disturba, la sua conquista empatica di grosse fette di opinione pubblica, il suo cristianesimo di pancia che porta a livello popolare le battaglie che durante il pontificato di Ratzinger erano confinate ad una élite intellettuale.
Non è un caso che tutto avvenga quando il fronte della ragionevolezza cristiana, laicamente, senza il cappello delle gerarchie, riporta qualche successo sul relativismo libertario. Penso alla vittoria, nella Francia di Hollande, dell’ultima battaglia di Manif pour tous, oppure a certe prese di posizione del cattolicesimo americano. E poi Francesco e il suo magistero fatto di essenzialità evangelica e quindi di cose chiamate con il loro nome: vita, padre, madre. Non principi ideologicamente astratti, ma calati in una realtà ecclesiale concreta e accogliente, e non per questo meno attenta alla Verità dottrinale. Si tirano fuori i vecchi spettri, ma è un gioco scoperto. Attenzione, la Chiesa oggi è più forte: passata attraverso la tempesta è l’unica barca che ha ancora la vela issata.