Quell’uomo vestito di bianco

Un anno fa Jorge M. Bergoglio diventava papa. Chi è quell'uomo vestito di bianco che è riuscito, in 12 mesi, a trovare posto nel cuore indurito degli uomini del nostro tempo? MAURO MAGATTI

Chi è quell’uomo vestito di bianco che, con espressione pacifica, modi leggermente desueti, immediatezza espressiva è riuscito, in 12 mesi, ad aprirsi un varco nel cuore indurito degli uomini del nostro tempo?

Quando era cardinale a Buenos Aires, Bergoglio era amato dalla gente, ma non era particolarmente noto per le sue abilità comunicative. Nel momento in cui diventa papa, Bergoglio ha trovato un nuovo registro: come se, dietro la spinta di una immensa responsabilità, la sua personalità abbia raggiunto la piena fioritura, arrivando ad esprimere il senso e la ricchezza di un’intera vita. 



Il cardinale di Buenos Aires sale inaspettatamente sul soglio pontificio un anno fa, in un momento drammatico per la storia della Chiesa cattolica. Dopo lunga e tormentata preghiera, Benedetto XVI ha appena deciso di lasciare. L’età avanzata, ma soprattutto la consapevolezza dell’urgenza di una riforma della Chiesa, hanno convinto Ratzinger della ineluttabilità di una decisione storica.



All’inizio del XXI secolo, la Chiesa si ritrova in un paradosso: da un lato, essa si rafforza come la più grande organizzazione religiosa di tutto il mondo; dall’altro, è piagata da scandali finanziari e sessuali. Per non dir nulla dei casi di pedofilia. Nelle riunioni preparatorie, gli elettori del conclave hanno lavorato sodo su questi temi. Ecco perché non si può leggere il pontificato di Francesco secondo uno schema “politico”. Bergoglio non è né conservatore né progressista. Diventando Papa, egli ha ricevuto esplicito mandato, dal suo predecessore e dal collegio cardinalizio, di rinnovare la Chiesa. Obiettivo che il nuovo Papa pensa di possa raggiungere solo ritornando all’origine, alla missione indicata dal suo Fondatore. Per questo, Bergoglio compie un atto di coraggio inaudito: prendere il nome di Francesco, colui che era stato mandato a ricostruire la Chiesa del suo tempo.



Bergoglio sa che ha davanti un lavoro difficile. Da una parte il mondo, con l’acutezza delle sue sfide; dall’altra parte, la chiesa e le due difficoltà. Sa che deve intervenire con coraggio, ma sa anche che il codice fondamentale del cristianesimo è quello della misericordia.

L’amore che contraddistingue il Dio di cui parla Bergoglio non è una melassa sentimentale. È un Dio che caparbiamente vuole bene ad ogni vita. Perché solo così l’esistenza personale può acquisire peso e senso. È questa la buona novella che Bergoglio vuole diffondere. Per questo egli ama tanto  le persone “comuni”, i bambini, i malati. Non come “luogo” esibizionistico. Ma come luogo teologico, dove la vita donataci dal Dio creatore esiste davvero. La tenerezza di Dio ha a che fare col senso dell’esistere: solo la singola vita, la vita concreta  e reale, quella piena di speranza e di sofferenza, quella capace e quella ferita, conta agli occhi di Dio. 

Per questo, Bergoglio mette al centro del suo pontificato la tenerezza, che è il modo per mettere al centro la persona. La verità del cristianesimo è la verità di un amore che si fa vita e che attribuisce senso ad ogni esistenza.

Per questa ragione, il Papa non ha paura di mostrarsi semplice, uomo tra gli uomini del tempo. Il grande successo di Bergoglio si spiega così, dalla sua capacità di far trapelare un’umanità profonda  in quanto intrisa di fede. Di senso religioso. Bergoglio rende visibile e dà testimonianza di ciò di cui  l’uomo contemporaneo manca: la fede nella vita, che restituisce senso alle azioni quotidiane, che dona una profonda serenità, che rende felici anche con poco. Bergoglio parla al cuore di tutti, perché rende visibile un modo di essere che sembra quasi impossibile dentro quella grande macchina nella quale l’esistenza di ciascuno finisce oggi per essere imprigionata. Tutto il progresso, tutta la crescita che siamo stati capaci di realizzare non valgono nulla se perdiamo il senso della vita, la capacità di incontrarsi con l’altro, l’apertura alla trascendenza. E il Papa è testimone che ciò è possibile: solo la piena distensione dell’umano dà felicità, pienezza, tenerezza.

Ma il pontificato di Bergoglio non si dispone solo sul piano, pur fondamentale, dell’esperienza personale. Il Papa sa bene che il suo compito è anche quello di avviare una riforma della Chiesa. Una riforma necessaria e urgente. Seguendo il metodo insegnato da Sant’Ignazio di Loyola, Bergoglio procede cautamente quanto determinatamente. Senza clamori, in questi primi 12 mesi, ha già avviato processi che nei prossimi anni porteranno frutto. 

In primo luogo, sulla scia di una via già aperta da Wojtyla e Ratzinger, Bergoglio sa che la Chiesa deve davvero diventare  mondiale. Già il Concilio Vaticano II aveva intuito la questione. Che cinquant’anni dopo è ineludibile. Come deve essere organizzata una Chiesa capace di essere radicata in ogni angolo il pianeta e nelle più diverse culture? Per quanto non sia possibile rispondere pienamente a questa domanda, Bergoglio sa che ciò richiede prima di tutto una seria riforma della Curia romana,  che è sorta in un contesto storico totalmente differente da quello attuale. L’istituzione del gruppo di otto cardinali che assistono il Papa nella sua attività rappresenta già un’importante novità. Così come, nella stessa linea, va interpretata l’insistenza di Bergoglio sul ruolo delle conferenze episcopali che costituiscono il fulcro di una Chiesa che si pensa rete planetaria.

In secondo luogo, Bergoglio vuole che il potere nella chiesa riacquisti quella paradossalità di cui si parla nel Vangelo. Il potere come servizio e non  come privilegio. Molti secoli fa, il santo a cui il Papa si richiama, San Francesco, fece proprio di questo punto il fulcro della sua predicazione. Bergoglio vuole una Chiesa che cammina con il popolo. 

E perciò povera. Vuole pastori che conoscano l’odore delle pecore. E perciò  che servono. E per smuovere ciò che sembrerebbe  inamovibile il Papa “servo dei servi di Cristo”, si mette davanti a tutti, facendo vedere quanto rivoluzionaria sia  la Buona Novella.

Infine, Bergoglio sa che occorre cogliere quanto di buono è presente nella cultura contemporanea. Le riserve rispetto alle derive del nichilismo e di una ragione ridotta a calcolo e esclusivamente tecnocratica, rimangono intatte. Ma questo non deve spingere la Chiesa a rifiutare il mondo in quanto tale. Lo sguardo della Chiesa non può che essere misericordioso. È in questo spirito che il Papa indica alcuni temi che meritano una particolare attenzione: occuparsi della famiglia e della sua  drammatica crisi, della valorizzazione della donna nella Chiesa, della vita nelle sue tante sfaccettature non è un cedimento al secolo, ma  il riconoscimento che la storia della salvezza accomuna tutti gli uomini. Nella consapevolezza che la Chiesa cammina nella storia, a fianco degli altri uomini, verso la pienezza dell’umano.   

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